Andrea Serena sul fine vita, “il dibattito non dovrebbe essere spettacolarizzato da un singolo caso mediatico”

Andrea Serena sul fine vita, “il dibattito non dovrebbe essere spettacolarizzato da un singolo caso mediatico”

Questo dibattito è tornato in auge a seguito dell’ennesima spettacolarizzazione e amplificazione mediatica di un singolo caso, sintomatico di quanto la nostra società dell’immagine e dell’apparire sia immatura nel non voler comprendere che un simile dibattito riguarda tematiche profonde che ci dovrebbe coinvolgere prima e a prescindere dei singoli casi, ma purtroppo spesso è una foto, un filmato o una tragedia a smuovere le nostre coscienze e a interrogarci come collettività. Per questo motivo, provando ad andare controcorrente, ho voluto attendere prima di esprimere il mio umile punto di vista e non intendo ricondurlo al caso più mediatizzato del Dj che meritava sicuramente maggiore rispetto e silenzio, cosa che invece ha avuto il caso analogo avvenuto qualche giorno dopo ma non enfatizzato.

Premetto che sono uno strenuo sostenitore della natura laica del nostro stato e società, che sono credente e comunista, diciamo un credente atipico con una personale ricerca spirituale che si allontana dalle Religioni classiche molto umane e poco spirituali spesso. La questione del fine vita è un tema enorme che non può essere ricondotto a semplice contrapposizione politica, giuridica o filosofica, riguarda tutti noi e abbraccia tematiche profonde e molto intime attinenti al senso della vita, al suo valore e missione, temi cui non potremo mai finire di interrogarci e ricercare.

Punto di partenza dovrebbe quindi essere un grande ascolto reciproco, quello che contraddistinse, sebbene con forti contrasti, il dibattito sull’aborto, altro tema strettamente connesso con i temi riguardanti il senso e valore della vita umana, ma che in un’epoca in cui il senso di collettività e confronto e una politica più seria e matura seppe ricondurre a un punto di sintesi, presupposti che oggi non intravedo sebbene la società mi paia sentire in modo forte questi temi. Ritengo che a decidere se proseguire a vivere in condizioni di forte disagio fisico debba essere l’individuo stesso e sia per il testamento biologico che per un atto cosciente di rinuncia a una vita che viene ritenuta e percepita come una tortura, perché questo è il punto, difendere la vita o la tortura? Difendere la materialità del nostro corpo o la libertà del nostro animo di autodeterminarsi?

Non volendo eludere un tema caro ai credenti, ritenendomi anche io un credente atipico, penso che la sacralità della vita e la sua difesa, avvenga principalmente ritenendola un atto di generosa libertà e dono, questo sia per i credenti che non, infatti sia che ci ritenessimo frutto di un atto di amore riproduttivo, sia che di un atto di amore divino, la vita è un dono di libertà e non di costrizione. Dio, per i credenti e la teologia, ci ha donato il libero arbitrio, la possibilità di scegliere liberamente e tutti compreso il figlio di Dio avrebbero potuto scegliere in modo difforme dalla volontà divina, il libertario libero arbitrio divino supera in libertà pure il nostro sistema laico che invece qualora si possa arrecare danno ad altri interviene per arginare e restringere le nostre libertà individuali.

Io mi auguro nel mio intimo ad esempio che una donna non abortisca, che una persona resti aggrappata anche a una vita di stenti e sofferenze compreso il sottoscritto, ma senza giudicare, voglio che liberamente sia l’individuo a scegliere, altrimenti sarebbe una semplice costrizione che riduce l’amore a un atto meccanicistico codificato solo da regole e codici, l’amore è per sua natura un atto di libertà come la vita e sia le fondamenta laiche di uno stato democratico evoluto, sia un profondo senso di spiritualità, penso che convergano in questa mia visione in cui sia basilare il diritto all’autodeterminazione e se proprio dobbiamo normarlo che questo amplifichi le libertà personali e non viceversa.

Ultimo appunto, sono rimasto rattristato dall’intervento del candidato sindaco Grossi, che usando la sua professione come farebbe un elefante in un negozio di cristalli, rende pubblici aspetti strettamente personali dei suoi pazienti deceduti, cui  almeno la deontologia professionale dovrebbe porre rimedio, Grossi ha portato a riprova della sua visione appunto le loro esperienze di fine vita, cui certo sarà ben difficile possano smentire essendo appunto andati oramai a MIGLIOR vita.

Poi della statistica da lui esposta non credo minimamente ma questo è un mio parere.

Andrea Serena (intervento strettamente personale)

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