Donne al lavoro, il video che racconta il festival del Centro Galmozzi e del comune di Crema e la lezione di Luisa Rosti

Donne al lavoro, il video che racconta il festival del Centro Galmozzi e del comune di Crema e la lezione di Luisa Rosti

STEREOTIPI CHE DISCRIMINANO – la Lezione della Luisa Rosti

Non esiste più, ormai, nessuna discriminazione nei confronti delle donne nel campo del lavoro? È quanto pensano non solo molti uomini, ma anche non poche donne. È vero? È vero, ad esempio, che non vi è più alcun gap retributivo tra maschi e femmine?
Iniziamo a dare uno sguardo al comparto della scuola. Quante sono le donne nella scuola primaria? Il 99,9%. Quante sono le docenti ordinarie? Il 20%. Non si tratta di una discriminazione se, almeno, partiamo dal presupposto che maschi e femmine sono dotati di uguale talento?
Una situazione anomala, tipicamente italiana? Per nulla: la media europea è del 18% e quella statunitense del 19%.
Quante sono, secondo l’Istat, le donne che coprono la funzione di dirigenti? Il 31,9%, mentre nel ruolo impiegatizio le donne superano i maschi (il 57,5%).
La discriminazione avviene a monte, nella fase della formazione universitaria: è un caso che nel gruppo linguistico le donne rappresentano l’82,27% e nella conservazione e restauro dei beni culturali addirittura l’86,67%, mentre in informatica solo il 20,36% e nella sicurezza informatica 0%?
Le donne sono già discriminate ancora prima: è dovuto all’assenza di talento il fatto che l’83% dei cassieri presso gli esercizi commerciali sia di sesso femminile e che la percentuale giunga al 93% tra gli addetti alla sorveglianza dei bambini?
A parità di funzioni, certo, la discriminazione non esiste. Il gap retributivo si ha perché le donne coprono in prevalenza certe funzioni e non altre.
E questo dipende da una serie di sterotipi sociali che “ostacolano la rivelazione del talento”. Non è dovuto a uno stereotipo sociale il fatto che una commissione che seleziona il personale per il ruolo di dirigente valuti il doppio il curriculum, pur identico a quello di una donna, presentato da un uomo? Non è dovuto a uno stereotipo sociale il fatto che le donne aumentano del 50% le probabilità di essere assunte in un’orchestra se le audizioni sono schermate? E non è, in ultima analisi, dovuto a stereotipi sociali il fatto che le donne, educate da bambine a giocare con delle bambole, scelgano un certo percorso di studi, mentre i maschi, educati da bambini a giocare col trenino, ne scelgano altri?
Che cos’è uno stereotipo? Credere che “un individuo abbia certe caratteristiche solo perché appartiene a un gruppo che mediamente le possiede”. La conseguenza è chiara: lo stereotipo di fatto “distorce” non soltanto le regole, ma anche il risultato della competizione per cui a vincere non è il migliore, ma “il più adatto secondo lo stereotipo”.
Siamo di fronte a stereotipi “pervasivi e inconsapevoli” presenti “anche in individui portatori di forti valori egualitari e pienamente convinti di non fare distinzione di trattamento tra donne e uomini”.
Stereotipi che spiegano anche perché, se consideriamo il totale del lavoro retribuito e il lavoro invisibile che si svolge in famiglia, le donne lavorano di gran lunga di più dei maschi, ad eccezione che in Norvegia e in Olanda (in quest’ultimo Paese sono addirittura gli uomini a superare le donne, anche se di poco).
È questo, in estrema sintesi, il contributo che la prof. Luisa Rosti, docente di economia del Personale e di genere presso l’Università di Pavia, ha offerto al Festival sull’occupazione femminile del cremasco nella giornata di domenica 10 novembre.
Un messaggio e, nello stesso tempo, una provocazione salutare. Per tutti.

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