Lavoro nero sotto casa

Lavoro nero sotto casa

Luci, ma anche ombre: ragazze che si avventurano in territori esteri e trovano un lavoro gratificante o che, pur rimanendo in Italia, inventano una professione, ma pure altre che, nel lungo tempo di attesa di un’occupazione stabile, si devono adattare, pur di sopravvivere, a un lavoro o lavoretto precario, se non addirittura in nero. Sono tutt’altro che poche.

Ragazze che svolgono il prezioso ruolo di baby-sitter, con orari talora proibitivi (anche dalle 6 del mattino), con un grande carico di responsabilità e obbligate di fatto a venire incontro ad ogni richiesta della famiglia “committente”, con compensi da fame (anche 200 euro al mese) e sotto continuo ricatto perché “entra in gioco l’affetto” che inevitabilmente si prova nei confronti dei bambini.

Ragazze che operano nel settore della ristorazione (bar, pizzerie, ristoranti) – pur esse per lo più in nero –  e con una retribuzione da 6 euro all’ora ed altre (le più fortunate vengono assunte con un “contratto fittizio”: solo una parte del compenso va in busta paga, mentre il resto viene consegnato in contanti).

Così confessa una di loro: “mi rendo conto di avere sette anni di esperienze e di non avere mai versato neanche un mese di contributi”. E aggiunge: “è praticamente impossibile ribellarsi perché sul mercato si trova sempre chi, in peggiori condizioni economiche, è disponibile ad accettare qualsiasi condizione”.

Altre ancora trovano un lavoro, sempre precario, presso le grandi multinazionali dell’abbigliamento e oggettistica per la casa. Vi è poi chi, con la laurea in architettura, svolge uno stage presso uno studio professionale a 300 euro al mese in attesa di un’assunzione che non arriva mai.

Così scrive nel suo saggio, in “Donne al lavoro” (da cui attingo le presenti informazioni) Daniela Marchesetti: “lavoro nero e precariato sembrano essere dei passaggi quasi inevitabili per chi debba entrare nel mondo del lavoro, passaggi accolti dai giovani spesso con rassegnazione, come se oggi fosse questa l’unica strada per poter aspirare al lavoro per il quale si sacrificano tanti anni”.

E non sono soltanto le giovani a lavorare in nero: numerose sono le colf, a vario titolo, che non hanno alcun contratto.

Lavoro nero e precariato, è vero, non sono appannaggio esclusivo delle donne, ma in alcuni ambiti, sì: laddove, come nella ristorazione, si preferiscono ragazze di bella presenza e laddove le prestazioni richieste fanno parte del retaggio storico delle donne (baby-sitter e colf).

Il lavoro nero non è solo sui libri di economia o di sociologia. È qui, sotto casa. Magari, anche a casa nostra.

Piero Carelli

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