Medalllo – 14 aprile 1986, Sgombero di via Brescia (Turbo)

Medalllo – 14 aprile 1986,  Sgombero di via Brescia (Turbo)

Sono un amante del turbo, è tempo di correre”. Ma cazzo è un altro lunedì in questa storia. Un lunedì nero. Alle tre del pomeriggio si spalanca la porta dello stabile di via Brescia e la città giocattolo viene scossa dall’unico sgombero che si sia mai verificato nella sua paludata storia polverosa. Le forze dell’ordine fanno irruzione nelle sale prova scalcagnate degli appartamenti occupati dai gruppi rock che stanno nascendo.

Ma l’irruzione non è dovuta all’occupazione dello stabile abbandonato, di cui in fondo non frega nulla a nessuno. No, qualcuno ha soffiato nelle orecchie degli inquirenti che qui non si suona ma in realtà si coltiva canapa indiana. “Avvolti in cavalli di potenza guidiamo in fretta e furia, cambia marcia che ti stringo a me”. Qualche anno dopo qualcuno canterà una canzone che racconta i fatti: “via Brescia prima c’era e ora non c’è più: sgomberata da porci in divisa”. Io quel giorno non c’ero, altro che canne in cascina, ero al lavoro. Nessuno di noi c’era. I militari trovarono una sola band che stava provando e niente droga.

Portarono gli Anestesia in questura e li identificarono. Quella che si credeva essere canapa indiana era in realtà canapa tessile italiana, erbaccia che cresce da sempre allo stato naturale lungo le rive del canale di irrigazione che passava li dietro. “Noi ci sosteniamo l’un l’altro, stiamo vicini e a turno corriamo via scoprendo ogni nervo vivo”. La cosa finì nel nulla sui giornali, noi ci facemmo due risate, gli abitanti della città giocattolo invece pensavano che se la polizia era arrivata a cacciarci via qualcosa sotto doveva esserci, per forza. Di certo ci lasciarono recuperare tranquillamente gli strumenti. Di tornare in cascina però non se ne parlava. Serviva adesso un posto vero, con tanto di affitto, dove andare a provare. I Medalllo erano senza casa.

Lo sgombero della cascina avvenne il giorno in cui in tutto il mondo usciva Turbo, l’album fuffa dei Judas Priest, “ci sentiamo così vicino al cielo con questo carico pesante”, cantava Rob Halford nella canzone che da il titolo al disco più criticato della band. L’uso dei sintetizzatori per chitarra aveva indispettito più di un fan. Il progetto Twin turbo, cioè due album in stile rock americano, fu abortito. Alla band arrivarono i complimenti di Julio Iglesias, ci vorranno anni perché riescano a fare dimenticare il distrastro di questo disco. Cavolo, proprio nel 1986, l’anno d’oro del metal.

Quindi riassumendo gli dei Judas Priest cadevano miseramente sulle guitar-synth e i Medalllo erano senza casa. Come erano senza casa tutte le band che provavano in cascina. Gli Anestesia si sciolsero, qualcuno si trasferì per studi in giro per l’Italia. Noi fummo salvati dai genitori di Fabrizio, una coppia di frikkettoni illuminati che ospitarono nel loro garage la strumentazione che avevamo faticosamente messo assieme, e ci diedero una mano col trasloco e a cercare una sala prove. Parevano più interessati loro alla band che lo snaturato figlio che intanto sbavava appresso ad una ragazzina che si faceva chiamare come un disco dei Mercyful Fate, Melissa. Passavano il tempo a sbaciucchiarsi in ogni angolo. Avrebbe potuto essere la Yoko Ono dei Medallo, se ci fosse stata una band da smembrare, e se non ci fosse stato Paolo che nel frattempo aveva preso a sedere dietro alle pelli della batteria più del legittimo titolare. Ma il 14 aprile del 1986 eravamo senza casa.
La primavera cominciava a farsi sentire nella città giocattolo. Massimo si rigirava tra le mani una copia distrutta di Kill ‘em all dei Metallica, uscito solo tre anni prima, ma sembravano tre ere geologiche: “chissà che avrà pensato il primo che l’ha messo sul piatto vedendo quei quattro ragazzini brufolosi sul retro copertina”, si chiedeva. Ragazzini brufolosi come lo eravamo noi. Solo che loro avevano inventato il thrash.
Quel martello insanguinato sulla copertina è un’icona che ancora oggi campeggia su poster e magliette. Forse più ancora delle croci con i fili da burattini di Master of puppets che a poco più di un mese dall’uscita si era presentato nelle classifiche di tutto il mondo. Anche in Italia. Era apparso al posto numero 44 della Top 50 di Sorrisi & canzoni. Vedere la miniatura della copertina in mezzo ai dischi di Tracey Spencer e Spagna fu uno shock salutare. Ma alla fine dell’anno la classifica dei singoli in Italia sarà dominata ancora da Madonna e Duran Duran.

Negli album entreranno invece i primi alfieri dell’heavy metal. Dischi che continueranno a vendere per altri 20 anni. Qualcuno si ricorda dei Kissing the pink o di Cock Robins, fenomeni del 1986? Per assurdo ci si ricorda ancora di Turbo, come nella città giocattolo ci si ricorda lo sgombero di via Brescia.
Per consolarmi in quel fine settimana, assieme alla cugina metal, presi il treno verso il capoluogo di provincia della città giocattolo. Lì c’era un negozio Bengodi pieno zeppo di borchie e borchiette, magliette e giubbotti. Me ne tornai a casa con sotto il braccio Vaffanculo in Nettuno un vinile dei Mötely Crue, un bootleg registrato a Roma, mentre erano in tournée con gli Ac/Dc. Un concerto registrato il 9 settembre del 1984. Dei Mötley Crue aveva parlato giusto Kerrang! in Inghilterra. Rappresentavano il lato cazzone del metal. Glam contro thrash. Non sapevo nulla di loro ma la copertina con quel vaffanculo sparato a caratteri cubitali mi aveva convinto, era il mio vaffanculo ai benpensanti della città giocattolo che stavano mettendo i bastoni tra le ruote ai Medalllo.

A casa scoprii una band incredibilmente caciarona e coinvolgente. La voglia di non mollare il sogno di salire su un palco mi prese forte e piansi, sempre stato sul depresso in vita mia.

Qui la terza puntata

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