Perchè il mio cuore è rimasto sulla collina Rivazza a Imola assieme agli Ac/Dc

Perchè il mio cuore è rimasto sulla collina Rivazza a Imola assieme agli Ac/Dc

Sono passati vari giorni ma la mia testa, i miei argomenti di discussione con amici e parenti e anche buona parte della mia voce sono rimasti sulla collina dell’autodromo di Imola. L’hanno descritto come l’evento musicale del 2015 ma credo che per chi sia stato al concerto degli AC/DC abbia significato  molto di più.

Già nel pomeriggio del 9 luglio a Bologna si parlavano di due ore di coda ad ogni entrata di Imola: strade bloccate e un mare di 100 mila persone da ogni parte d’Italia accorse lì per tante ragioni, o forse solo per una. Chi per fede, chi per ascoltare buona musica, chi per saltare o urlare, chi per rivederli, chi per vederli per la prima volta (come me del resto) e chi perché magari vi è stato trascinato dall’amico rockettaro.

Tra il pubblico ho visto tanti papà con bambini di meno di 10 anni alla mano o in braccio e allora ho pensato che la ragione di tanta partecipazione è alla fine solo una. Viviamo in un presente musicale in cui  la tecnica e il talento vengono portati all’eccesso, dove sei nessuno se non suoni a 16000 BPM e dove l’essenza viene dimenticata, distrutta e lasciata al suo posto ovvero nella polvere dei vecchi dischi, di lavori ormai andati in disuso. Ma poi ti basta sentire dal vivo quei quattro battiti di charlie della batteria: CHIC CHIC CHIC CHIC… e su un banalissimo 4/4 ti parte “Back in black” e di colpo capisci che anche tu sei lì per vedere da dove tutto è partito.

La storia degli AC/DC parte dall’Australia (anche se buona parte dei membri del gruppo è di origine inglese) e non sempre è stata rose e fiori: il loro nome è stato spesso causa di derisione agli inizi della loro carriera. Infatti le sigle AC/ DC stanno a significare Alternate Current/Direct Current ovvero una scritta riportata sulle vecchie cucitrici elettriche degli anni ’60. I fratelli Young con questo nome volevano sottolineare l’energia che il gruppo riusciva a sprigionare con la propria musica, ma nei locali dove si esibivano venivano spesso chiamati “femminucce” proprio per l’elettrodomestico maggiormente usato, all’epoca, dalle casalinghe.

Ma queste 5 “femminucce” credono ciecamente nelle proprie forze e nel 1974 producono il loro primo album in studio: High Voltage. Angus Young aveva solo 19 anni e inconsapevolmente stava scrivendo la storia del rock ‘n’ roll, creando un genere musicale che avrebbe influenzato generazioni di band a venire e sconvolgendo ogni parametro dell’epoca col suo stile ribelle e selvaggio di suonare la chitarra. Nel corso della loro carriera vendono circa 200 milioni di dischi in tutto il mondo tra cambi di formazione vari e il lutto di Bon Scott. Il loro suono e il loro modo di suonare rimane sempre lo stesso: c’è chi lo definisce come metal o hard rock. Per me è semplicemente rock ‘n’ roll con una pesante e assolutamente piacevole influenza blues che riporta ancor di più alle radici della storia della musica moderna.

Vedere dal vivo Angus a 60 anni fare un assolo è un qualcosa di ancora sconvolgente, soprattutto se lo fa mentre corre, muove la testa a tempo di musica, corre o si lancia in terra sul palco come quando di anni ne aveva 20. 100 mila presenti a Imola ma anche descrivere l’immensità del pubblico non renderebbe l’idea: quando il sole è calato abbastanza il prato e la collina erano un’enorme manto rosso di corna luminose che si muoveva, un solo urlo e un solo battito di cuore.

Per me è stato il concerto più bello che abbia mai visto, il concerto perfetto direi. Poter raccontare un giorno ai miei nipoti di aver visto un assolo di Angus di 10 minuti su “Let there be rock” sarà sicuramente motivo di orgoglio. A fine concerto ero stanco morto a causa della levataccia alle sei della mattina e il viaggio tra autostrada e traffico di Bologna in automobile, ma appena i cannoni hanno smesso di sparare alla fine di “For those about to rock” il mio pensiero è stato uno solo: “Cazzo se ne è valsa la pena!”.

Unica nota stonata del concerto è stata l’assenza di Malcolm Young sul palco a condurre le parti di chitarra ritmica ma nonostante tutto, anche se sarà difficile da immaginare, sto già aspettando il prossimo tour europeo!!

Pier Solzi

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