Short Story, il sacrista sfaccendato

Short Story, il sacrista sfaccendato

Il suono delle campane annunciò la Resurrezione e le genti di fede ben allineate entro gli scranni prescritti si strinsero la mano e sorrisero. Anche questa era andata, perché la temperatura era inclemente e il tempio ne risentiva. Fuori, sul sagrato, si stava meglio. I piccoli, coatti alla cerimonia, finalmente diedero luogo al loro naturale teatro e si rincorrevano vocianti, loro sì, alla ricerca di quei misteri che ancora sembrava fossero proprietà esclusiva dei grandi, grandi che lasciavano fare, indaffarati com’erano a stringere mani e scambiarsi auguri, sorrisi e banalità.

Ripartiti con cura nelle monumentali mobilie i sacri abbigliamenti di rito indossati dall’Officiante, il Pepìn sacrista si accese un toscanello di fattura ben dura. Soddisfatto poco, perché le cose bisogna chiamarle con il loro nome: “Signore, del tuo mistero non gliene frega un cazzo a nessuno. Li hai visti anche tu, quattro cialtroni che si pavoneggiano dentro abiti costosi, che se gli vai a chiedere dove sei risorto ti dicono a Roma. Nel migliore dei casi.”

Sì, il sigaro toscano era ben pressato e bisognava tirare per dargli brace: “Signore, anche se non mi chiamo don Camillo, lasciami andare lo stesso almeno una mezz’oretta. Che dici? Mah, comunque chi tace acconsente. Ci vediamo più tardi, tranquillo, vado e torno, ciao.”

Spense le luci, uscì da una porticina laterale e si avviò per vicoli scuri, che bastava seguirne l’odore tabaccone per capire dove stava andando a parare.

“Porca di quella tua troia maiala, si ti segno a coppe che cazzo mi giochi a bastoni. Cazzo, ti mando davanti all’Inquisizione!”

“Non esagerare”, disse una voce.

“Non rompere eh?! Che a carte sei una mezza calzetta, ostiss… Signore perdonami.”

“Torna ai tuoi doveri, che qui dentro ci stai facendo mattino.”

“Spetta un minuto, che gli stiamo sbancando anche le mutande.”

“A casa! Che c’è da fare!”

“Solo perché mi ha comprato l’aspirapolvere è diventato un rompino peggio del Vescovo. Sì Signore.”

Nel tempio ormai deserto c’era da dare una bella fregata al pavimento e andare al recupero dei mozziconi di candele: se ne sarebbe ricavato un bel cerone da sistemare ai piedi di qualche perditempo patronale, ché lì dentro, per dirla proprio tutta, abbondavano.

“E tu chi sei? Se è per la Messa sei un poco in ritardo. Come vedi la bottega è chiusa. Se però vuoi darmi una mano di là trovi uno spazzolone, così facciamo prima. In cambio metto una buona parola col prete, che ti dà l’assoluzione e non se ne parla più. Ma che fai, sei matto?! Cencioso a quel modo ti siedi sulla panca della famiglia Pergamenus? Ci passo la cera una volta alla settimana, come alle altre appartenenti ai notabili cittadini. Certo che non lo faccio a gratis, ci mancherebbe anche quella. Oèi, pulisci bene negli angoli bui, che lì quelli là ci buttano la carta delle mentine e se ne lasci in giro soltanto una il parroco poi mi fa un culo grosso come un carro di fieno. Come hai detto che ti chiami?”

Silenzio. Il Pepìn sacrista si guardò intorno un po’ allarmato, finché lo sconosciuto riapparve con il secchio: “Sono andato a buttare l’acqua sporca.”

“Cambiare l’acqua, ma sei impazzito, con quel che costa, e poi guarda qui che roba le nuove tecnologie. Fa tutto lui, basta schiacciare un bottone e spingere. Per una chiesetta così piccola ‘na sidêla d’acqua basta e avanza.”

“A me sembra una cattedrale.”

“Oèi sfollato, te che cazzo nei sai di cattedrali? Hai mai provato a tirare a lucido il duomo di Milano? Nânca mi, ma chi l’ha fatto poi mi ha raccontato che non bastava tutta l’acqua dei Navigli.” E mentre lo scaccino continuava a parlare rivolgendosi alla volta gotica e facendosi guidare dall’aspirapolvere, l’altro gli dava dentro con l’olio di gomito e tanto ne fece uso nei pressi delle zone di luce che di lì a un po’ il pavimento sembrava quasi risplendere di luce propria.

“Però, abbiamo fatto un bel lavoro. Oèi dove sei finito? Eh già, adesso che arriva il lavoro duro con le candele, il vagabondo scompare. Sempre i solito quelli lì.”

Grande fu il suo stupore quando si accorse che il Crocifisso era illuminato dalla vigorosa fiamma di una candela ben tornita: “Ostiss, sembra un razzo Saturno in miniatura!”

Ancora più grande fu il suo stupore quando, di lì a poco, alcuni agenti di Polizia, in borghese, lo arrestarono con l’accusa di furto di oggetti e paramenti sacri.

“Bastardo, ha rubato anche il mio mazzo di carte.”

Beppe Cerutti

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