Beatles week, l’implosione geniale dello schermo totalmente bianco

Beatles week, l’implosione geniale dello schermo totalmente bianco

John che attacca le sue stesse radici con Julia, che ridimensiona i sogni indiani che avevano portato via il gruppo con Sexie Sadie, e che demolisce ciò che rimane del flower power con Glass onion, ma ancora che se la prende con qualsiasi tipo di attivista in Revolution 9, che prende per il culo il revival del blues in Inghilterra con Yer blues, che scrive tre dei suoi brani più belli: I’m so tired, Happines is a wark gun e Dear Prudence (anche se quest’ultima la renderanno ancor più bella i Siouxsie and the Banshees).

E poi George che scrive il suo capolavoro While my guitar genttly weeps ma avvalendosi alla chitarra di Eric Clapton e tagliando fuori tutti gli altri.

Paul che compone un pezzo che inventa l’hardcore punk con 12 anni di anticipo che ispirerà tremendi fatti di cronaca nera, e che diventerà un inno metal, Helter Skelter, e poi che anticipa i temi della sua carriera solista con Blackbird.

Ringo che sta defilato ma che da voce al pezzo stupendo che chiude il disco Goodnight.

Quando il 22 novembre del 1968 il pubblico abituato a dischi di 35 minuti zeppi di singoli e con copertine iper colorate si trova in mano un mastodontico album doppio di 93 minuti e 43 secondi dalla copertina immacolatamente bianca e senza titolo ci si rende conto che in casa Beatles l’esplosione (o implosione a seconda dei punti di vista) era avvenuta.

Era passato più di un anno dal precedente disco. Sgt Pepper era uscito il 1 giugno del 1967. Erano finiti i tempi dei tre dischi in un anno. Un anno e mezzo interrotto solo dal mini lp Magical Mystery tour legato ad un film assurdo, un fallimento commerciale totale che era stato l’apice psichedelico e colorato del Beatles che qui si spogliano di tutto. Anche di se stessi.

Si perche il disco a ben guardarlo è assurdo. Inventa un concetto che in quegli anni non esisteva. Quello di canzone filler, riempitiva, assurda, inutile, Dio mi perdoni, brutta, il pezzo da skippare con il tasto avanti dei lettori cd che erano al di la dal venire.

Fa entrare nel circolo ristretto dei 4 un sacco di altra gente che non centra nulla, o che centra troppo, come Yoko Ono oramai invadente “proprietaria” di Lennon tanto da imporre Revolution 9, un lunghissimo collage di suoni e loop lungo 8 minuti e 22 secondi. Musica concreta, l’hanno chiamata, musica moderna, sperimentazione… Chiamatelo come volete è un polpettone inascoltabile di ideologie e sperimentazioni fatte con l’accetta, letteralmente visto che ad esempio l’insistente Number 9 che si sente per tutto i tempo andare e venire è solo un pezzetto di nastro tagliato da Lennon da un nastro che serviva ai tecnici per testare l’impianto, con una voce che diceva: “This is EMI Test Series Number Nine”.

E’ il disco che segna l’esplosione dei rapporti tra i 4. La manifesta dichiarazione che di Ringo Starr non importava quasi a nessuno, visto che a metà registrazioni se ne andò per un litigio e la batteria in due dei brani storici dell’album Back in Ussr e Dear prudence la suona Paul. Quando torna all’ovile resosi conto della cappellata fatta trova Mal Evans a dirgli bentornato, gli altri no.

Nonostante tutto il disco è il più venduto dei Beatles in America, 19 album di platino. E’ il doppio più venduto della storia della musica. Più anche di un altro monumento che lo tallona da vicino The Wall dei Pink Floyd. Ed è decisamente l’inizio della fine dei Beatles. Archiviata la beatlemania, archiviata l’india, la psichedelica, la sperimentazione, l’amicizia. Tutto nascosto sotto una linda coperta bianca.

Dopo di lui sarà solo un anno di delirio che porterà alla parola fine.

Emanuele Mandelli

(Visited 39 times, 3 visits today)