“Ho letto per caso un articolo di Leonardo Ciccarelli, condiviso da Carlos Mac Adden.
Purtoppo è esattamente così. Per chi non volesse leggerlo tutto (perchè sicuramente sarete oberatissimi di cose da fare, soprattutto i cuochi che sono i primi super critici nei confronti di guide e giornalisti – leggasi appassionati-, ma che poi per una recensioncina o un videino si farebbero amputare un dito), riporto un paio di estratti che ritengo passaggi abbastanza importanti. Eccoli… La maggior parte dei giornalisti sportivi, gastronomici o di qualsiasi altro ambito vive per anni nella più atroce miseria e comincia a fare questo lavoro per la gloria. Il famoso pagamento in visibilità è la moneta ufficiale della stampa italiana. La cosa divertente è che oggigiorno vengono scritti centinaia di articoli sulla sostenibilità e sullo sfruttamento dei ristoranti ma, per l’appunto, nessun giornalista parla dell’elefante nella stanza: c’è tutta una categoria che viene sfruttata per un lavoro insostenibile, ma sembra brutto ammetterlo perché la categoria del giornalista o del critico gastronomico ha a che fare col cibo, uno dei piaceri della vita. Ti assicuro che no, non è sempre un piacere, soprattutto se a fine mese devi pagare le bollette come tutti. Ma sì, è molto divertente se hai mammina bella e papino bello che ti levano queste incombenze dalle spalle.”
Così postò via social Lara Abrati: libera professionista, attiva nel giornalismo enogastronomico e nella comunicazione digitale, settori nei quali offre diversi servizi orientati al mondo agroalimentare e dell’enogastronomia. Ah … la dottoressa Abrati, per intenderci, è una delle poche e vere Food Blogger che conoscono la materia, scrivono bene, conoscendo gli argomenti trattati e, soprattutto, attraverso il suo lavoro, non promuove se stessa ma i concetti, le persone, i locali e i qualcosa di cui scrive.
stefano mauri