E’ uscito da poco un bel romanzo di un autore cremasco. Si intitola “How many roads?” e l’autore si chiama Leonardo Provana. Il volume fa parte della collana: Penne di #PensieroRandagio. Il volume segue il ciclo di romanzi dedicato a Francis Fairfax, “Il Mistero delle Frecce Yaqui” e “Mezzanotte a New York”. Entrambi sono disponibili in Amazon Kindle. Ma cosa si nascone dietro alla citazione dylanana?
Ce lo racconta lo stesso autore:
Si tratta di una spy-story con degli elementi del romanzo di formazione.
Una presentazione interessante, raccontaci di più
Partiamo dal principio. Nel 2016 ero al quinto anno delle scuole superiori. Durante una lezione di storia sull’omicidio di JFK, il mio professore Luigi Maglio sollevò alcune ipotesi sul motivo della sua morte. Una di queste riguardava la demilitarizzazione e la crisi che avrebbe colpito i produttori americani di armi nel caso di un’improvvisa distensione con l’Unione sovietica. Quest’idea fu il punto di partenza e, in breve, sviluppai una storia di cui parlai con un amico.
Una idea che parte da lontano, e poi?
Al termine dell’estate della maturità, mi trovai pronto per cominciare la stesura del romanzo. Da un lato percepivo che, nel mondo, stava avvenendo un cambiamento: la Brexit, la campagna elettorale che opponeva Trump a Hillary Clinton, le fasi più calde della guerra siriana. Dall’altro, stava avvenendo un cambiamento dentro di me. Lasciavo molti dei miei amici delle superiori, mi apprestavo a iniziare gli studi in ingegneria meccanica e, con la mia famiglia, mi stavo prendendo cura di mio nonno (persona di grande ispirazione per me), nelle fasi finali della sua vita.
E come hanno influito queste vicende sulla stesura del libro?
Inutile dire che alcuni di questi dettagli siano finiti all’interno dei tre personaggi principali del libro, come molti dettagli di altre persone che ho conosciuto e con cui ho condiviso parte della mia vita. Qui è avvenuto qualcosa di insolito. Dopo aver avviato le storie dei tre personaggi notato che in un certo senso erano loro a guidarmi all’interno della storia. Non ho fatto nient’altro che il lavoro del cronista, per il resto erano loro a decidere dove andare. Difatti, molte idee che avevo in mente in origine poi non sono state sviluppate, mentre il libro si è arricchito di dettagli che non avrei mai immaginato. È un processo creativo che, a posteriori, ho scoperto essere lo stesso di Quentin Tarantino all’interno delle sue sceneggiature.
Come inquadreresti il tuo modo di scrivere?
Per quanto riguarda lo stile, invece, mi sono lasciato ispirare da Tom Clancy, da Alessandro Baricco e da Guccini. Del primo, dopo aver letto La grande fuga dell’ottobre rosso, ho apprezzato molto l’alternarsi di diversi scenari in apparenza sconnessi ma che poi confluiscono in un’unica strada finale. Degli altri due apprezzo la spontaneità, il linguaggio semplice, mai inutilmente complesso, la possibilità di usare espressioni dialettali e la facilità imbarazzante nel passare dalla rudezza alla poesia.
Dicci perché dovremmo leggere il tuo libro
Posso solamente accennare che, dopo un paio di anni di pausa, mi sento pronto per cominciare una nuova storia. L’università, l’erasmus e la quarantena trascorsa in un Paese straniero mi hanno dato molti spunti di riflessione. Mi hanno aiutato a crescere e, nel contempo, mi hanno permesso di creare nuovi caratteri da poter utilizzare in un nuovo libro.