Ricordate? Qualche anno fa, la scrittrice, giornalista, critica gastronomica e Gran Maestra della Confraternita del Tortello Cremasco Roberta Schira, nel suo itinerante, pellegrinaggio, per locali da menzionare e recensire, passò da Cà Barbieri e, tra un piatto e l’altro, lanciò uno spunto dei suoi, dedicato al mistico Salame Muletta, salume stagionato a grana grossa prodotto da carni suine 100% italiane, caratterizzato dalla tipica forma irregolare e tozza ottenuta grazie alla forma del budello che viene utilizzato come da tradizione. Ebbene, Roberta Schira, dalla Muletta degustata a Ca’ Barbieri a Levata di Grontardo, fu letteralmente conquistata. Che dire poi della giardiniera croccante, con verdure selezionate, curate con passione e attenzione e rigorosamente tagliate a mano, vale a dire la leggendaria Stradivarius che accompagna tutti gli ospiti di Ca’ Barbieri, a cui ha saputo conquistare il cuore. Oste, opinionista televisivo, calciofilo, arbitrologo, commerciante enogastronomico, tifosissimo della Cremonese e del Milan, Mario Barbieri, dello storico Ristorante Famiglia Cà Barbieri, è il cuore pulsante. E con lui collaborano i figli Diego e Dino e la moglie Roberta Zanchetta. Dalla lingua tedesca, Gösa fèr vuol dire, salsa fusa pronta. Nel vocabolario del Bresciani Gösa  è gocciolare (Gösa fèr è far gocciolare). Il signor Mainardi della pasticceria cremonese Corni ricordava la tradizione del Gösa fèr come condimento della polenta. La ricetta più comune consiste nel far soffriggere aringa, aglio, olio, prezzemolo e aceto. La Rusina di via del Sale ricordava questa ricetta: “mètege oli, ai e perdesem in dena superina scalda e smorsa cun aséet: vodel in sòl pès frit, lassa in repòos e po’ tasta. Tanti i la ciàma ‘pès in carpiòon”.Ma come si cucina el “ Gösa fèr”? Ingredienti: un’aringa o 4 sardelle, 3 spighe d’aglio, ½ bicchiere di olio, un pugno di prezzemolo, un cucchiaio di aceto. Attenzione a “lavare” bene, sotto acqua corrente,  sardelle o l’aringa per togliere il sale. Si levano le lische e poi si mettono per pochi minuti nell’olio bollente dove si sarà fatto soffriggere l’aglio. Si aggiunge poi il prezzemolo e l’aceto, crescendo o diminuendo la dose secondo i gusti. Nel casalasco all’inizio del Novecento, quando la fame era tanta ma c’era poco da mangiare, l’aringa veniva appesa sopra la tavola e con il pane (o la polenta) si cercava di intingere, a turno, su quell’aringa penzolante finchè non restavano solo le lische. A Casalmaggiore l’aringa affumicata, in dialetto, si dice cuspatòn. Da lì il modo di indicare un povero senza niente: l’è puvrët m’an cuspatòn, è povero come un’aringa a fine pasto (cioè solo con le lische). Mario Barbieri, nel leggendario ristorante di famiglia, nel menù alla carta, per omaggiare il territorio padano, propone i Tagliolini alla Gosa Fer… E accendono il cuore di emozione.

stefano mauri

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