La piccola umanità di Andrea Vitali al Caffè Letteario di Crema

La piccola umanità di Andrea Vitali al Caffè Letteario di Crema

Torna a Crema uno degli scrittori italiani più amati: Andrea Vitali, in libreria – e in classifica- con i due romanzi «Sono mancato all’affetto dei miei cari» e «La gita barchetta». Storie diverse dalle sue solite, ma in perfetto stile «vitaliano: ironia, l’umanità, con tutti i suoi pregi e i suoi difetti, un piccolo mondo che non c’è più. Siamo negli anni 60, sono storie di famiglia e, come sempre quando c’è la sua penna di mezzo, è sorprendente l’intreccio di storie della vita. Ne parlerà lunedì 30 maggio al Caffè letterario di Crema: appuntamento per le 20,45 in sala Bottesini del teatro San Domenico; ingresso libero e accompagnamento musicale di Chiara Marinoni e Matteo Bacchio.

Come per tutte le manifestazioni del Caffè Letterario, anche questa è stata resa possibile dal contributo delle aziende che sostengono l’associazione culturale: Associazione Popolare di Crema per il territorio, Banca Cremasca e Mantovana, Sparkasse, Comitato Soci Coop di Crema, libreria La Storia di Crema, il quotidiano La Provincia di Cremona e Crema, Teicos di Pandino, Icas di Vaiano e, naturalmente, la Fondazione San Domenico, che ospita gli appuntamenti.

Il primo romanzo è ambientato in un paese padano, «La gita in barchetta» invece ha come sfondo Bellano e, per una volta, è senza Carabinieri. “Racconto la partita a scacchi tra due famiglie che hanno la necessità di un riscatto, gente alla periferia del mondo che vuole riabilitarsi nei confronti di chi guarda, di evitare quella compassione pelosa che ha sempre avvertito». Sullo sfondo il paese, con la sua fame di pettegolezzo, di curiosità e morbosità. La storia, che ha radici negli anni Venti comincia con un ciabattino molto particolare. Annibale Carretta, «strusciatore di donne», uno che approfitta della calca per fare la mano morta, nella vita ha rimediato più sganassoni che compensi per le scarpe che ha aggiustato. Ed è finito in miseria, volutamente dimenticato dai più. Ma non dalla presidentessa della San Vincenzo, che sui due locali di proprietà del Carretta, ha messo gli occhi. Vorrebbe trasformarli nella sede della sua associazione. Per questo ha brigato per farlo assistere da una giovane associata, Rita Cereda, detta la Scionca, con il chiaro intento di ottenere l’immobile in donazione. E in parte ci riesce anche, se non fosse che quelle due stanze del Carretta ora a Rita farebbero parecchio comodo. Le vorrebbe dare alla madre per il suo laboratorio di sartoria, e alleviarle così il peso della vita grama che fa: vedova e col pensiero di una figlia zoppa, Rita, appunto; una malmaritata, Lirina; e poi Vincenza, bella ma senza prospettive, che seduta sul legno di una barchetta vede riflesso nello specchio del lago il destino che l’attende e al quale non sa sottrarsi. Su queste prime note si intona la sinfonia di voci e di vicende che hanno fatto di Bellano il paese-mondo in cui tutti possono ritrovare qualcosa di sé.

Nell’altra storia, «Sono mancato all’affetto dei miei cari» Vitali si allontana dal lago. «È un’uscita sia dal punto di vista geografico che per quanto riguarda la scrittura -ammette lo scrittore- Questo libro è uno degli esperimenti che mi piace fare per mettermi alla prova e raccontare qualcosa che vada al di fuori dei confini geografici che sono la cornice di molti miei racconti. Qui non ci sono nomi strani non ci sono indicazioni geografiche ben precise anche se facile immaginare che l’ambiente della storia è tipicamente padano, potrebbe essere un piccolo paese anche dalle parti del Cremonese o del Cremasco. E anche la scrittura si libera da certi canoni. È una sorta di flusso di coscienza dell’io narrante, che tra altro è anonimo e che racconta le vicende della sua famiglia».

Siamo tra gli anni Sessanta e Ottanta del secolo scorso. Un padre tutto casa e lavoro ripercorre la storia del proprio rapporto con i figli, che non sono venuti esattamente come si aspettava. L’Alice, maestrina frustrata, malinconica e sognante, che rimpiange di non essere andata all’università – «manco studiare servisse» – ed è incapace di fare l’unica cosa che una donna deve saper fare: la moglie. L’Alberto, che i libri, «bisogna rendergliene merito», li ha tenuti a debita distanza, ma in compenso si rivela un ingrato. Infine l’Ercolino, che apre bocca solo per mangiare voracemente, anche se è magro quanto un chiodo; e, pensa tu, a scuola pare sia un genio. Insomma, un disastro, cui si aggiunge una moglie un po’ tonta, pronta in ogni occasione a difendere quei tre disgraziati. Troppo, davvero troppo, anche per un uomo di ferro come lui. Di ferro perché lui è proprietario di una ferramenta. L’odore del ferro emoziona il protagonista il quale «ha una disperata voglia che almeno uno dei due figli maschi la erediti- ma ahimé non sempre i desideri dei genitori vanno di pari passo con quelli dei figli. E su questa schizofrenia viaggia il ritmo della storia».

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