Scriveva il magazine On Line Cremona Sera che, inevitabilmente, le vicende storiche di Cremona si riflettono nelle acque del Po. Il fiume era già utilizzato al tempo degli antichi romani, dalla Regina Teodolinda che incrementò i traffici fluviali e il commercio del sale. Con Federico I il Barbarossa i cremonesi costruirono un nuovo alveo, detto il Po di Maestra capolavoro di ingegneria. Addirittura il 22 giugno 1431 i Cremonesi con i Visconti davanti alla Porta del Po e sotto le mura della città, batterono le galee della Serenissima. Nel 1431 i Visconti armarono il porto con fortilizi, uno su ogni riva e uno nell’isolotto in mezzo al fiume. Ma il fiume era molto ricco di pesce che finiva sulle tavole dei cremonesi: pesce persico, carpa, cavedani, tinche, alborelle, temoli, agoni, lavarelli, lucci, trote e anguille popolavano il grande fiume che non aveva ancora subito i danni del degrado e dell’inquinamento. Lungo via del Sale vivevano fino alla fine degli anni Cinquanta i pescatori di fiume. Il pescato era perlopiù in “boujòon” (come dice il Peri) in acqua e poco aceto e foglie di lauro (alloro). Il termine dialettale è un francesismo da bouillon e “faa ‘l boujòon al pèss” è quindi bollire il pesce scriveva Giorgio Maggi. Allora dalla lingua tedesca, Gösa fèr vuol dire, salsa fusa pronta. Nel vocabolario del Bresciani Gösa  è gocciolare (Gösa fèr è far gocciolare). Il signor Mainardi della pasticceria cremonese Corni ricordava la tradizione del Gösa fèr come condimento della polenta. La ricetta più comune consiste nel far soffriggere aringa, aglio, olio, prezzemolo e aceto. La Rusina di via del Sale ricordava questa ricetta: “mètege oli, ai e perdesem in dena superina scalda e smorsa cun aséet: vodel in sòl pès frit, lassa in repòos e po’ tasta. Tanti i la ciàma ‘pès in carpiòon”.Ma come si cucina el “ Gösa fèr”?Ingredienti: un’aringa o 4 sardelle, 3 spighe d’aglio, ½ bicchiere di olio, un pugno di prezzemolo, un cucchiaio di aceto. Per Lydia Visioli Galetti si lavano bene le sardelle o l’aringa per togliere il sale. Si levano le lische e poi si mettono per pochi minuti nell’olio bollente dove si sarà fatto soffriggere l’aglio. Si aggiunge poi il prezzemolo e l’aceto, crescendo o diminuendo la dose secondo i gusti. Nel casalasco all’inizio del Novecento, quando la fame era tanta ma c’era poco da mangiare, l’aringa veniva appesa sopra la tavola e con il pane (o la polenta) si cercava di intingere, a turno, su quell’aringa penzolante finchè non restavano solo le lische. A Casalmaggiore l’aringa affumicata, in dialetto, si dice cuspatòn. Da lì il modo di indicare un povero senza niente: l’è puvrët m’an cuspatòn, è povero come un’aringa a fine pasto (cioè solo con le lische). Ebbene, l’Oste Mario Barbieri, nella fotografia impegnato a cucinare i mistici “Salamini dei morti alla Barbieri”, nel suo ristorante (Levata di Grontardo), Famiglia Cà Barbieri, nel menù alla carta, per omaggiare il territorio padano, propone i Tagliolini alla Gosa Fer…

stefano mauri

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