Ma esiste poi il football dilettantistico? Il dilemma di un calcio da rivedere

Ma esiste poi il football dilettantistico? Il dilemma di un calcio da rivedere

Premessa doverosa: non bisogna fare di ogni erba un fascio, ma salvo poche positive eccezioni, il football dilettantistico è tale solo per anacronistica definizione, basti pensare che qualche club per così dire dilettante è strutturato meglio di una multinazionale, con staff che partono dal presidente e arrivano all’amministratore delegato. Ergo pure a queste latitudini servirebbe una vera riforma, una rivoluzione che dovrebbe partire coinvolgendo nel progetto quei dirigenti, quei calciatori e quelle società serie, poichè ribadiamo esistono anche le eccezioni positive, che lavorano nella fascia (zona densa di ombre) che va dal Cnd alla Terza categoria.

Comunque sul web girano tante storie sul calcio dilettantistico. Ve ne proponiamo due, buona lettura.

«Una volta giravano molti più soldi. I controlli erano nulli e c’erano calciatori che guadagnavano in nero anche 100mila euro l’anno. La società dichiarava i 7.500 come minimo da accordo economico pattuito e poi grazie agli sponsor garantiva stipendi da favola ai giocatori». Così Enzo Guagnini, un passato da calciatore dilettante e poi di amministratore per diverse società. «Tutti sapevano come funzionavano le cose ». Da qualche anno però, il tempo delle valigette piene di soldi sembra essere finito. Le società sono nel mirino del fisco e soprattutto gli sponsor «che prima facevano saltar fuori 200mila euro dal nulla» oggi non pagano più. Di scritto c’è ben poco. I dirigenti si devono fidare dei “pagherò” degli imprenditori, e i giocatori devono fidarsi della parola dei dirigenti. Nemmeno la firma dell’accordo economico basta per stare tranquilli perché in questa serie, dato che non si tratta di professionismo e quindi di lavoro, non sono previsti fondi di garanzia. Dice Catenacci (altro calciatore, ndr): «Anni fa ero al Voghera e non mi hanno pagato le ultime cinque mensilità. Ho fatto vertenza economica ma sapevo che se avessero fallito io non avrei visto un euro. E così è andata». «Nella prossima vita rinasco attaccante». Lo dice sorridendo sempre, Filippo Catenacci, ma non troppo. Un terzino come lui sa bene quanto sia importante “buttarla dentro”. In serie A come in serie D. Sì, perché nonostante siano considerati “dilettanti”, gli atleti della D fanno la stessa vita dei loro colleghi professionisti, solo con meno certezze e con il dubbio di cosa fare una volta annunciato il ritiro. Cinque allenamenti a settimana – il mercoledì col doppio turno – e la partita alla domenica. Due mesi di preparazione estiva e pressioni da parte di allenatori e dirigenti. Racconta Filippo: «Quando ero più giovane avevo allenatori che chiamavano i miei genitori per sapere se ero a casa il venerdì sera. Poi controllavano cosa mangiavo, se fumavo e come mi vestivo. Ancora oggi è vietato indossare le infradito anche quando fa caldo, e ovviamente niente cellulare durante ritiri, viaggi in pullman e negli spogliatoi». 

Tu chiamali se vuoi dilettanti. Per chiudere lo sapete che a pochi chilmetri da Crema uno sponsor privato, un personaggio ufficialmente non collegato al club in ogegtto, di tasca sua paga l’ingaggio dell’allenatore?

Stefano Mauri

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