MalincoNatale di passione clandestina e un po’ triste in provincia

MalincoNatale di passione clandestina e un po’ triste in provincia

Festeggiava il Natale e le festività in generale soltanto per amore del figlio, per celebrare con lui il rito dei doni, ma ormai l’aveva persa la poesia delle feste; eppure questa giornata d’antivigilia la sentiva, stranamente, in modo particolare al punto che le pareva di essere tornata piccina, quando guardava con meraviglia l’albero nel salotto di casa e il presepe nell’ampia veranda esterna.

Finalmente la sera, dopo lunghi tentennamenti e rinvii, inventata una scusa, la classica cenetta degli auguri coi colleghi d’ufficio, con il marito Mario, sistemato il pargolo alla madre, sarebbe uscita a cena con il manager di una grande multinazionale attiva nel territorio conosciuto, quindici giorni prima, per un’intervista da pubblicare sul magazine economico del quotidiano locale col quale collaborava saltuariamente coltivando, senza più pretese, l’hobby per la scrittura e il giornalismo.

Divorata la giornata tra lavoro, parrucchiere, estetista, palestra, parcheggiato il figliolo dai genitori, inviato sms al coniuge che ormai non valeva più nemmeno la pena di sentirlo al telefono tanto li metteva malincorabbia, era giunto l’atteso momento di uscire e partire alla volta di Soncino, dove, nella piazza illuminata della Torre, in un anonimo bar doveva trovarsi col dottor Pino Sannistro e partire poi alla volta di Brescia per consumare il pasto leggero modaiolo a base di sushi e presumibilmente un… dopo cena piccante in uno dei tanti motel lungo la vecchia, scassata statale.

Probabilmente bruciata l’oretta scarsa di sesso sfrenato il vuoto sarebbe subentrato all’eccitazione, ma stasera le andava di perdersi, di darla senza pensare. Vestitino corto, cappottino fashion di un dito appena più lungo, completino intimo sensualintrigante, stivali d’ordinanza e, nonostante il freddo niente calze, il tutto accompagnato a un trucco minimal: si era ancora bella e maledettamente desiderabile anche se i vent’anni erano soltanto un ricordo; quel volpone di Sannistro, al contrario di quel coglione di Mario che, rapito, svuotato dalle droghe virtuali di internet manco la baciava quando sul divano, di malavoglia le concedeva una sveltina, durante la cena se la sarebbe divorata con gli occhi.

Venne il momento d’uscire, avviò la macchina, accese la radio e per un attimo si guardò, specchiandosi, nello specchietto retrovisore: fu proprio in quel preciso istante, sotto le note dell’ultima hit dei Modà, una canzone che raccontava la malincomagia degli amori clandestini che si accorse di come due righe di lacrime le stessero irrigando il viso rovinandole la maschera fatta da costosi cosmetici. Alla faccia dell’ebbrezza di quell’attimo fuggente e della trepidazione mattutina, anche questo Natale l’avrebbe vissuto a metà, con tanta comoda ipocrisia in apparenza e immensa tristezza in sostanza.

Mandò comunque al diavolo la malinconia, il dramma durò un attimo ma se ne andò per non passare: si riassestò il sensualseducente viso, guidò fino a Soncino sfidando nebbia e ghiaccio, entrò nel locale per l’aperitivo. Sannistro era già là, la divorava con lo sguardo: sarebbe andato volentieri a scopare saltando l’impiccio del pesce crudo che fa tanto fashion, ma in fondo non sazia. Ordinò uno Sprtitz sbadatamente, sorrise al marpione e bevendo si accorse che avrebbe voluto essere altrove.

Stefano Mauri

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