Paolo Malaguti incontra i giovani scrittori cremaschi

Paolo Malaguti incontra i giovani scrittori cremaschi

Sette giovani scrittori in corsa per due trofei: sono i finalisti del XII concorso di scrittura creativa indetto dal Franco Agostino Teatro Festival in collaborazione con il Comitato Soci Coop Crema e il Caffè Letterario. Per la Sezione Under 14: Edoardo Bassi della Scuola Madia Vailati di Crema, Arianna Bellodi ed Emanuele Frigoli della Scuola Media Abbado di Ombriano-Crema. Per Scrittori in erba: Sofia Bignamini e Giorgia Gullo del Liceo scientifico delle scienze umane Munari di Crema; Harman Kaur e Anastasia Maria Puma del Liceo scientifico delle scienze applicate Galilei di Crema. A decretare il vincitore il presidente di Giuria, lo scrittore Paolo Malaguti, che vanta un secondo posto al Premio Campiello con “L’acqua che ride” e ora è in classifica con il suo “Il Moro della cima”. L’appuntamento è per lunedì prossimo, 6 giugno, nel chiostro del Teatro San Domenico (in caso di maltempo in sala Bottesini), con inizio alle 20,45 e ingresso libero. L’accompagnamento musicale è di Chiara Marinoni e Matteo Bacchio.

 

Conversando con Rachele Donati De Conti, Malaguti poi presenterà il suo nuovo romanzo. Un libro in cui regala un’altra grande storia da un passato che non c’è piú, dando voce e corpo a un mondo perduto, e portando il lettore lassú a respirare un po’ di libertà. «Soprattutto all’alba, quando la luce è piú morbida e la pianura si svela piú ampia, e con lo sguardo arrivi fino alla curva del mare lontano: allora ti viene liscio credere che la vita possa davvero essere tutta cosí, giornate di sole e pascoli verdi».

Agostino Faccin, «il Moro», la felicità la scopre da ragazzo, tra le montagne di casa, nell’esatto momento in cui capisce che piú sale di quota e piú il mondo gli assomiglia. Quando gli propongono di diventare il guardiano del nuovo rifugio sul monte Grappa, non ci pensa su due volte. Ma la Storia non ha intenzione di lasciarlo in pace, la Grande Guerra è alle porte, e quella vetta isolata dal mondo diventerà la linea del fronte. E il Moro assiste alla Storia che sfila sotto ai suoi occhi: nel 1918 il Grappa è la linea del fronte, un campo di battaglia che non tarderà a trasformarsi in un cimitero a cielo aperto e infine in un sacrario. Tutto questo è «Il Moro della cima», romanzo con il qualePaolo Malaguti torna a raccontare la Prima guerra mondiale con gli occhi di un personaggio leggendario che, incredibile a dirsi, è esistito davvero. Come il suo protagonista, ha scalato montagne: quelle della classifica dei libri più venduti.

«Il Moro della cima» è un libro che coniuga capacità storiografica, sensibilità umana, amore per la natura e per le storie che racconta, scritto in maniera totalmente coinvolgente. È tornato su due questioni che ama molto: la Grapa, il monte Grappa, come lo chiama il Moro, e la prima guerra mondiale. «L’elemento scatenante è stata proprio la figura del Moro, che avevo già incontrato durante le ricerche per ‘Sul Grappa dopo la vittoria’ e ogni tanto negli anni pensavo che sarebbe stato bello potergli dedicare un romanzo. Ho approfittato del lockdown, periodo in cui non potevo tornare sul monte Grappa, che amo molto percorrere, e quindi la scrittura mi ha aiutato a riavvicinarmi alla montagna.” spiega Malaguti. «In questo libro, se vogliamo, c’è un valore aggiunto, visto che il protagonista è un civile, ormai maturo, con le sue idee, la sua cultura di base. Attraverso lo sguardo del Moro ho provato a raccontare la devastazione della guerra a latere, cioè quindi i temi del profugato, dell’aumento enorme dei prezzi che taglio le gambe ben prima che iniziasse la guerra a mezza Italia, dei migranti che furono costretti a tornare dalla Germania, dall’Austria perché evidentemente non erano più bene accetti: la guerra non è mai solo lì dove si spara si soffre anche in zone tecnicamente di pace». Come si spiega il fatto che alcuni fra i romanzi più belli comparsi in Italia negli ultimi tempi parlano di montagne? «Credo che forse la montagna in Italia riscuote particolare fascino perché ormai rappresenta per noi una sorta di miraggio di conservazione,  perché se si scende dalla montagna e si esplora la pianura padana, vediamo tesori che dialogano con il brutto, con un progresso difficile da gestire e che forse ci sta un po’ soffocando. Quindi forse è il tentativo di respirare che spinge tanto i lettori verso la letteratura di montagna».

 

 

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