C’è una generazione che per ritrovare se stessa ha iniziato a cantare a bassa voce. Lara Serrano lo fa da anni, e oggi quella voce si raccoglie in “Parole Sciolte”, l’album d’esordio della cantautrice genovese classe 1998. Dopo una serie di brani pubblicati, tra cui “Follia” e “Tra il dejavu e l’amnesia”, Lara torna con un progetto che conferma la direzione della sua scrittura consapevole, e la capacità di dare un senso a ciò che spesso resta sullo sfondo senza indulgere nella retorica, raccontando ciò che solitamente si tace, con un linguaggio che non cerca protezione né alibi.

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Concepito come un lungo dialogo – a tratti clinico, a tratti lirico – tra sé e la propria memoria, “Parole Sciolte” è insieme cronaca e testimonianza sincera di chi ha imparato a sopravvivere ai giorni storti scrivendo tutto quello che non riusciva a dire. Tra versi che sembrano appunti terapeutici e immagini che somigliano a fotogrammi sfocati ma essenziali, necessari per capire dove si è passati, l’album si snoda tra dolorose evidenze e piccole rivoluzioni quotidiane, tenendo sempre al centro la parola come atto liberatorio.

«Ho iniziato a scrivere perché non riuscivo a parlarmiO almeno, non in modo diretto – spiega l’artista –. Questo disco nasce dalla necessità di restare viva anche quando tutto il resto cadeva. È il mio modo per mettere in fila i “Fra(m)”menti, citando un brano del disco -, per cercare connessioni anche dove sembrano impossibili.»

Otto tracce, nessun riempitivo. “Parole Sciolte” è un disco compatto, coerente, curato fin nei minimi dettagli. Un progetto che si ascolta come un flusso di coscienza, disordinato solo in apparenza, perché ogni strofa rappresenta una svolta narrativa.

Nel brano d’apertura, “Intro”, Lara si affida a una domanda che incornicia e attraversa tutto il progetto: «Mi posso fidare della versione delle tre delle persone o no?». Una frase che resta addosso, come uno di quei pensieri che tornano nei momenti in cui il silenzio fa più rumore. Ed è proprio lì che prende forma l’album: in quel punto sospeso tra chi eravamo e chi stiamo ancora cercando di diventare. È uno sguardo consapevole, forse stanco, a tratti inquieto, ma sempre vivo. È lo sguardo di chi scrive per non perdersi. Non è arrendevole. Non è amaro. Non è cinico. È uno sguardo che prova a fare ordine, senza fingere che sia tutto a posto.

Nella title track “Parole Sciolte”, quello stesso sguardo si traduce in immagini che non hanno bisogno di spiegazioni: «Siamo il quadro più bello ma senza cornice, quasi quasi mollo tutto e poi divento felice». È un modo per dichiarare che, a volte, mollare non significa arrendersi, ma scegliersi.

In “Iride”, l’amore viene raccontato come ciò che resta «quando i sogni d’odio sono in bianco e nero», mentre “Nuvole e Paranoia”, che è forse la traccia più cinematografica del concept, il linguaggio si muove tra citazioni figurative e registri diversi, accostando Hayez e Goya, che convivono nella stessa strofa, con una naturalezza spiazzante. «Sto come a un concerto ma in testa ho un teatro, metto insieme respiri per poi rompere il fiato». Un brano che alterna scenari familiari, ritmi ordinari e richiami culturali, tenendo insieme caos ed equilibrio, gesto e pensiero, con chirurgica precisione.

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