Piccoli luoghi che non ti aspetti nel nuovo disco di Gio Bressanelli

Piccoli luoghi che non ti aspetti nel nuovo disco di Gio Bressanelli

Ci sono dentro talmente tante cose, talmente tante viste, talmente tante storie in “Piccolo luoghi” il nuovo disco di Gio Bressanelli, che ci vorrebbe una mappa allegata del dischetto per orientarsi. Intanto perché la storia del disco è travagliata e lunga. E probabilemte anche questo travaglio è una delle spezie che dona al risultato finale un sapore che davvero non mi sarei aspettato dalla musica di Giovanni.

Si perché per prima cosa ormai Bressanelli è un amico, come lo sono il 90 per cento di quelli che hanno suonato nelle dieci tracce che compongono il lavoro, e come sono amici tanti dei raiser che hanno contribuito alla realizzazione del disco, e quindi gli amici si sa è sempre difficile giudicarli con imparzialità. Invece sto disco nasconde una produzione vera, molto più curata di disconi ben più blasonati che si possono trovare sugli scaffali dei negozi di dischi.

Ecco intanto sto disco lì non lo trovate. E’ stato tirato in 300 copie e quasi tutte sono assegnate ai raiser (i finanziatori) che hanno potuto seguire il processo di creazione, sviluppo e registrazione dei pezzi in questi mesi. Le poche copie che ci sono si trovano in due librerie di Crema (La Storia e Libreria Cremasca) o si può provare a contattare Gio attraverso il suo sito (www.giobressanelli.it).

Dicevamo dei travagli che il disco ha subito. La voce di Gio è stata registrata mesi fa, prima della delicata operazione alle corde vocali che ha donato al cantautore cremasco una nuova voce, o come dice lui “prima avevo una chitarra e adesso un bouzuki, devo imparare a fare vibrare le corde in modo diverso”. E ci sta provando. A giudicare da come è andata la data di presentazione del disco, al Galilei di Romamengo, da solo davanti al pubblico con sti dieci pezzi che sono nuovo e anche no, ha imparato bene.

Ma nel disco intanto non è solo. Ci sono una valanga di musicisti, che uno potrebbe pensare troppi. Invece tutti si amalgamano bene con il nocciolo duro della band di Bressanelli. Che non è più quella iniziale di anni fa, dove c’erano meta di mille amici, parenti… No qui rimane al tessuto ritmico l’amico di sempre Paolo Simonetti, ci sono le tremila chitarre di Francesco Guerini e Mattia Manzoni che sa suonare tutto e che soprattutto ha donato a sto disco un suono polveroso, analogico, che porca miseria sarebbe tanto figo l’avessero schiaffato su un vinile, perché cavolo i fruscii ci starebbero stati tanto bene.

Le canzoni dicevamo. Nuove e anche no. Ci sono cose che da Bressanelli non ti aspetti. Tipo “La ragazza e la palla”, che potrebbe essere presa dalla discografia di Denis Guerini (beh, i musicisti sono interscambiabili), oppure dalla poetica di Giangilberto Monti o Paolo Conte, col vuolino e il clarinetto che si inseguono che manco nei titoli di testa dei film di Woody Allen e visto che la ragazza è una tosta, “che palle che ha e che palle che tira”, a chiudere il pezzo arriva il coro delle ragazze del volley Offanengo. E rimani li con un sorriso come dire. Mi hai fregato, non ero pronto ad un pezzo così.

Poi ci sono le “bressanellate” che invece ci si aspetta. Ma non sono più quelle di una volta. Gio è decisamente affrancato dai riferimenti classici da cui era partito. Quindi anche qua c’è una bella evoluzione. Prendi per esempio “Io sono così”, la canzone che era gia stata incisa, che Bressanelli suona da anni, dedicata alla scomparsa amica Natalina Scarpelli. Un pezzo che adesso prende una veste tutta nuova. Tutta americana, che invece che sulle strade di Crema pare che la carrozzina di Nat scorrazzi per le polverose strade del Southern rock americano, merito anche della chitarra slide di Paolo Letterini e della armonica tutta blues di Paolo Parietti.

Sono dunque le storie piccole, appunto i piccoli luoghi, che diventano universali nella tessitura narrativa di un disco dove a fronte di un suono così accuratamente prodotto ci sono anche dei testi che non sfociano mai nell’indulgenza ma che sanno raccontare bene quello che viviamo. Prendi la ballata “Dolceamore” che racconta Crema con riferimenti storici e immagini di tutti i giorni tra le mura e gli ostaggi, il fiume troppo spesso secco, il leone di San Marco e un Barbarossa che non riesce a bruciare né la città né un Cristo che forse aveva troppo freddo. E vai col terzetto d’archi di Nadia Fascina, Elsa Marchini, Paola Tezzon.

Insomma un sacco di facce. Non so in quanti tra i 200 raiser, tutti citati nelle pagine del libretto, un plauso anche alla grafica assai curata e alla bella copertina, si aspettassero un’opera di questo tipo. Io no di certo. Mi aspettavo un’opera più rintanata nelle aree confortevoli della musica che Bressanelli conosce bene. E per citare le parole della canzone finale, un delicato “Valzer” solo voce e chitarra, “non so se sei ottavi basteranno per descrivere quello che sei”, quindi non so se questi miei appunti sparsi sono bastati a descrivere questo lavoro. Ma c’è un solo modo per scoprirlo. Ascoltatevelo.

Ecco la recensione dovrebbe essere finita qua. Ma vanno aggiunte alcune note. In questi giorni Bressanelli sta girando a piedi per Crema, sacco in spalla, a consegnare i dischi. Una immagine davvero bella. Ieri sera l’ho beccato che mi aspettava nel freddo e nella nebbia guardando la vetrina dell’agenzia viaggi in piazza Garibaldi, come a dire che il viaggio è sempre insito. Poi ci sono le famose serenate. Ecco in primavera chitarra in spalle e bici sotto al culo partirà per eseguirle. Ne riparleremo perchè fanno parte integrante del progetto.

emanuele mandelli

(Visited 122 times, 3 visits today)