Piero Carelli al Caffè Filosofico col Fico Sterile, un nuovo “dialogo” dopo “Chiunque tu sia”: questa volta con l’Homo sapiens

Piero Carelli al Caffè Filosofico col Fico Sterile, un nuovo “dialogo” dopo “Chiunque tu sia”: questa volta con l’Homo sapiens

L’input: lo tsunami del Covid-19 che ci ha sbattuto in faccia la nostra vulnerabilità. L’intento: prendere lo spunto da una tragedia
per guardare dentro la nostra storia alla ricerca delle vette che abbiamo scalato e, nello stesso tempo, degli abissi in cui siamo
precipitati. Una sorta di “bilancio critico” con uno scopo “maieutico”: solo liberando le nostre migliori risorse, potremo affrontare
le tremende sfide che oggi abbiamo davanti.

Il testo è stato pubblicato nella “collana di spiritualità” – dal Priorato di S. Egidio con un titolo di chiara ispirazione evangelica.

Leggerà alcuni brani l’attore-regista Luigi Ottoni.

L’ispiratore del testo?
Ernst Bloch, il filosofo della speranza, il filosofo della “umanità incompiuta”: la pandemia può diventare l’occasione per far fare a noi umani un nuovo
balzo in avanti in quanto “umani”.

Il contesto?

Siamo precipitati in una fase delicatissima della nostra storia, una fase contrassegnata dalla vulnerabilità, dal senso di impotenza di fronte ad eventi che ci
hanno travolto: prima lo tsunami della pandemia e ora una guerra con i suoi orrori e con i suoi rischi di un epilogo nucleare. Di qui lo smarrimento, la
caduta di punti di riferimento, la sfiducia: come fermare la folle corsa del mondo (rubo la metafora di Lucio Caracciolo) che è iniziata il 24 febbraio 2022?
Abbiamo ben da dire che la storia siamo noi, che siamo noi a decidere il nostro destino, ma dove trovare una bussola? Dove trovare gli attrezzi giusti per
ricostruire? Dove trovare delle fiaccole, pur piccole, in grado di riaccendere la nostra speranza?

Il senso del pamphlet è tutto qui: cercarli dentro di noi, dentro la nostra storia.

Abbiamo avuto prove durissime e le abbiamo superate. Siamo caduti più volte nel baratro e ci siamo sempre rialzati, talora alla grande. Se allunghiamo lo
sguardo, poi, vediamo quanto l’uomo si è emancipato dalla sua condizione di animale e quanta “umanità” è riuscito a esprimere: un patrimonio di valori
inestimabile; regole sempre più cogenti che hanno limitato di moltissimo la violenza privata; uno sviluppo della medicina che ha accresciuto a dismisura la
nostra capacità di debellare e prevenire patologie e ad elevare di conseguenza la nostra aspettativa di vita; una tecnologia che ci ha liberato da fatiche e
ingiustizie (solo i nostri elettrodomestici ci forniscono un aiuto pari a quello che nell’antichità veniva fornito da 33 schiavi!).

Dentro di noi abbiamo tutte le risorse per risorgere. Autoflagellarci non ci porta da nessuna parte: anzi, ci paralizza.

Ma questo non ci basterà.

Dovremo prendere le distanze da quella che Emanuele Severino chiama “la cultura del frammento” (della separazione della parte dal tutto) e assumere
uno sguardo “globale” o “integrale” (come lo chiama papa Francesco): è la mancanza di tale sguardo che ci impedisce di vedere quanto hanno inciso sui
mali del presente certe decisioni prese o non prese e certi problemi lasciati irrisolti o per scelta o per “distrazione” e che poi sono esplosi (vedi anche la
guerra in Ucraina).

Allargare gli orizzonti: è questo ciò che ci serve. Allargarli sia nel tempo che nello spazio.

Tutto è interconnesso: gli stessi nostri stili alimentari e il riscaldamento climatico, gli standard di vita di noi occidentali e lo sfruttamento in altre aree del
mondo di donne, uomini e bambini, la deforestazione selvaggia e la diffusione dei virus (vedi quanto scrive Telmo Pievani nel suo ultimo libro “La natura
è più grande di noi”), i fondi-pensione dei Paesi ricchi e i terremoti finanziari che scuotono anche le zone più povere del pianeta.

Ma noi preferiamo la cultura del frammento. Così diventiamo prigionieri dell’hic et nunc, cadiamo nella trappola del “particulare”.

Certo, sollevare lo sguardo costa

Costa riconoscere le nostre piccole o grandi complicità, dirette o indirette di tanta iniquità presente nel mondo.
Costa cambiare i nostri comportamenti che contribuiscono ad avvelenare il pianeta.

Costa abbattere i muri per allungare il nostro sguardo.

Costa troncare i nostri monologhi ed aprirci all’ascolto.

Costa affrancarci dal “presupposto di conferma” e sentire le ragioni degli altri.

Costa assumere le nostre responsabilità in un tempo in cui, cancellato il passato (le decisioni prese) e cancellato il futuro (le conseguenze delle nostre
scelte irresponsabili), tutti vengono assolti.

Costa vivere. Ciò che non costa è scegliere di morire

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