The Indian: da un disco di Caterina Caselli, al mondo dance con Lupin III e LaWhite

The Indian: da un disco di Caterina Caselli, al mondo dance con Lupin III e LaWhite

The Indian, vale a dire Alberto Lapris, fondamentalmente è un curioso, appassionato – collezionista di musica, un eclettico produttore discografico, un Import Manager sempre sul pezzo e impegnato. Con Lupin IIIMario Riboldi (musicista, tastierista) e LaWhite…  Anna Bianchi (vocalist) forma il trio di musica dance “Marvellous Melodicos”, mentre col solo Riboldi anima il duo dance “The Lost”. E … con Alberto, volentieri, in questi giorni difficili e … densi per lui, volentieri abbiamo scambiato quattro chiacchiere.

Quando ti sei avvicinato concretamente alla musica?

Come fruitore nel 1966 acquistando il 45 giri di Caterina Caselli “Nessuno mi può giudicare” dopo averla vista al Festival di Sanremo di quell’anno. Ma l’amore vero per la musica è arrivato seguendo quotidianamente “Alto Gradimento” prima e, con la nascita delle primissime radio libere poi: Radio Crema Fm 103 in primis, quindi Radio Milano International, Radio Luxembourg e, più tardi Radio Music 100 (l’attuale Radio Deejay).

E che genere fai?

Definire un genere musicale è sempre molto difficile oltre che soggettivo, per adeguarmi agli standard e generalizzando potrei dire “pop” anche se ogni singola traccia da me prodotta è legata al momento della sua uscita, quindi al termine “pop” si possono via, via abbinare elementi come “italo disco”, “house” o “demential tecno, termine coniato per il nostro primo singolo di successo “Mu-Sika” anni fa.

In cosa consiste il tuo lavoro musicale?

Non avendo un’educazione musicale, non avendo, a parte la breve parentesi delle scuole medie, mai studiato musica, il mio “lavoro” consiste nell’avere “l’idea” da cui partire, parlarne col musicista col quale collaboro, discuterne lo sviluppo, la stesura e infine elaborarne la composizione fino alla definitiva realizzazione.

Collabori da sempre e solo con Mario Riboldi?

Mario è stata la prima persona con cui ho cominciato la mia esperienza di produttore in maniera “abbastanza” continuativa agli inizi degli anni ’90. L’ho conosciuto frequentando gli stessi ambienti ricreativi adolescenziali allorquando scoprii i comuni gusti musicali: il rock progressivo (E.L. & P., YES, Genesis…) e la sua abilità nel cimentarsi alle tastiere. Ergo quando mi venne la prima “idea” relativa a un progetto musicale non ebbi nessun dubbio e lo contattai per esporgli cosa mi sarebbe piaciuto fare: così partì la nostra collaborazione col primo singolo del sodalizio “Lost Tribe Of The Lost Minds of the lost valley” (“Lost Tribe” abbreviando, nome ispirato dal gruppo inglese KLF e dalle loro performance musicali) “Mu-Sika”, pezzo che entrò direttamente al primo posto della Deejay Parade nel settembre del 1992. Il sodalizio portò a realizzare altri 3 singoli con lo stesso nome, produzioni che ebbero un discreto successo: sul territorio italiano e in Europa con diverse cessioni di licenze e riconoscimenti della critica sulle pubblicazioni musicali.

Nel frattempo, lavorando a Milano presso la Disco Magic e collaborando attivamente con la Time Records di Brescia, mi venne proposto di iniziare una nuova avventura insieme a Giordano Trivellato e Giuliano Sacchetto, per tutti “Le Ginestre”, nel team di produzione dell’etichetta della città della Leonessa. E con loro fondai i “Marvellous Melodicos”, gruppo specificatamente “italo-dance”, che nell’arco di un anno pubblicò tre singoli di rilievo nel panorama discotecaro di quegli anni.

Altre collaborazioni “di livello” ebbi modo di svilupparle con alcuni dj e produttori che andavano per la maggiore durante i Novanta: Albertino, Fargetta, Molella, Frank’O Moiraghi, Joe T. Vannelli, Claudio Diva, Emanuele dell’Aquila, Roberto Arduini, per citarne alcuni in ordine sparso.

Il vostro sodalizio ha una sigla, un brand vostro col quale firmate i vostri lavori?

Il primo, per comodità abbreviato “Lost Tribe”, rimane quello che meglio identifica il sodalizio; dal marzo scorso abbiamo raddoppiato il valore della collaborazione avendo io acquisito i diritti all’utilizzo del nome artistico “Marvellous Melodicos” (“MM”).

Qual è la vostra ultima produzione?

Le produzioni sono due, uscite entrambe a marzo: “R.T.T.J.”, traccia in due versioni che richiama le sonorità tipiche degli anni ’90. E nelle vesti di “MM”, con la preziosa collaborazione di Anna Bianchi (LaWhite) alle voci, siamo usciti con “Say It Ain’t So”: tre versioni completamente diverse, una dall’altra, che spaziano dalla house commerciale, alla HI-NRG, fino alla sfida musicale della traccia drum’n’bass. Entrambi i singoli sono stati pubblicati da B.L.K. MUSIK, etichetta ligure, ottimamente gestita da Bruno Cardamone.

Voglio anche ricordare come nel frattempo, in solitaria Mario sia uscito con due suoi side-project: JeremyB e Romai Lodibri; e insieme abbiamo collaborato alla realizzazione di due remix per il progetto IPOGEO feat. King Robert (Owens, mica pizza e fichi), pubblicato sempre da B.L.K. Musik.

Progetti in cantiere?

Sicuramente i follow-up dei due singoli sopracitati, già allo stato embrionale, ma fermi a causa dell’emergenza sanitaria, ma solo temporaneamente. Sfortunatamente lo stesso triste periodo ha allungato i tempi di riscontro delle tracce pubblicate in precedenza consigliandoci di procrastinare i tempi di realizzazione dei nuovi brani.

Già provati dagli usi, mutati in questo tempo, discoteche, disco bar e locali pensi riusciranno a riprendersi dalla crisi causa Covid-19?

Hai una domanda di riserva? (risata). Per uno che ha visto evolversi i locali da ballo dalla balera tradizionale degli anni ’60 ai grandi festival tipo Tomorrowoland, con tutte le sfaccettature e declinazioni intermedie che possono essere riconosciute nelle discoteche e nei dance-club, la speranza che i locali possano riprendersi è il minimo auspicabile. Rimango perplesso su come si potrà ovviare al distanziamento sociale e al divieto di assembramenti, particolari non superabili agilmente in sale poco più grandi di un salotto di casa, spesso inserite in un contesto non propriamente dedicato al ballo come possono essere, ad esempio, i discobar. Mi piacerebbe vedere il ritorno delle discoteche nella più classica accezione del termine: locali esclusivamente dedicati al ballo con zone ben definite, pista, corridoi perimetrali, bar, posti a sedere e, soprattutto, Djs professionisti che sanno come intrattenere il pubblico. Dulcis in fundo, sarebbe il momento di non vedere più all’opera pletore di sedicenti “diggei” chiamati da altrettanto sedicenti “impresari” in nome del “quanta gente mi porti? Figure queste che hanno mortificato e depauperato il mondo della club culture, portandolo ad essere un divertimentificio di plastica, finto, senza un’anima, più apparenza che sostanza. Sono un utopista, un uto-pista da ballo. Music Is The Answer.

stefano mauri

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