Medalllo – 29 maggio 1986, nuova sala prove (The Final countdown)

Medalllo – 29 maggio 1986, nuova sala prove (The Final countdown)

Il riff di tastiera pacchiano di The Final countdown degli Svedesi Europe lo sa anche mia madre. Il disco uscì il 26 maggio del 1986 ma il singolo impazzava in radio già da settimane. Quando sentii la canzone tra le dediche di Radio Z, tra un valzerotto dell’angelotto e un Frankie Goes To Hollywood capii che qualcosa stava davvero cambiando. I riccioloni di Joey Tempest sono una delle memorabilia dell’armamentario dello sdoganamento del metal, oddio ancora un parolone e questa frase avrebbe collassato. Pensare che la canzone fu scritta come sigla d’attesa dei clienti della discoteca Galaxy di Stoccolma. Ma quelle 4 note erano peggio di un tarlo. Entravano nella testa di chiunque. Così la melodica e mediocre band Svedese, di cui su HM si parlava poco e male sin dai tempi di Wings of tomorrow, diventa il primo vero fenomeno planetario del metal. Il traino che porterà un sacco di ragazzini e ragazzine ad ascoltare la musica del diavolo.

Quando i produttori della band, ascoltato il brano strumentale, consigliarono a Tempest e soci di farci una canzone per il disco nuovo, tutti furono scettici, soprattutto l’autore. Ma il risultato dopo il tentativo di cavarci un brano fu talmente convincente che il pezzo divenne la title-track e il singolone, scalzando dalla scaletta Rock the night che era stato previsto come singolo iniziale. Alla fine il singolo venderà 12 milioni di copie, due più dell’album che lo contiene. Prima posizione in 27 nazioni, anche se è Rock the night ad essere ancora oggi in rotazione su Mtv.
Sentire un brano metal alla radio galvanizzava il popolo borchiato che cominciava ad intravedere il crollo delle mura di Gerico. Quando ci accorgemmo che anche i leccati fan della musica da discoteca del tempo, quando la canzone passava al pub, facevano headbanging bevendo la birra ci dicemmo che i Medalllo avrebbero dovuto avere ancora almeno una occasione.

L’headbanging: scuotere la testa violentemente, uno dei tratti caratteristici del metal. Lo stile basilare è l’up and down, avanti ed indietro, reso mitico dal film Fusi di testa quando i protagonisti ascoltano in auto Bohemian rhapsody dei Queen seguendo l’assolo a ritmo. Ci credereste se vi dico che ci sono altri 18 modi di scuotere la testa? Tutti codificati e con precise regole. Dal Circular swing di Blackie Lawless degli Wasp, al Figure eight di Alexi Laiho dei Children of Bodom. E poi ancora l’Hammer di Till Lindemann dei Rammstein, e l’Half body di Paul Gray degli Slipknot. Nel dicembre del 2008 il British Medical Journal ha pubblicato uno studio condotto di Andrew McIntosh e Declan Patton, dell’Università di New South Wales in Australia che mette in luce i pericoli per la salute della pratica: infortuni a livello del collo e dell’encefalo. Si dice che l’ictus che ha colpito il chitarrista degli Evanescence nel 2005 sia colpa dell’headbanging. Senza andare agli estremi vedere alcuni amici che col metal non avevano nulla a che vedere scuotere la testina, ma piano neh, avanti ed indietro sulle note del tormentone degli Europe mentre sorseggiavano una Ceres al pub ci aprì il cuore. Presto Gerico sarebbe stata nostra.
“I miei genitori”, esordì Fabrizio staccandosi per un secondo dal bacio asfissiante di Melissa, “mi dicono che c’è una cascina in un paese dove ci sono alcune band che hanno messo su delle sale prove. Lì c’è un buco libero, si sono informati, tre stanze di cui una senza tetto. Ci vorrebbero 80 mila lire al mese di affitto”, terminò la frase e si rituffò in bocca a Melissa. Lo avremmo rivisto giorni dopo, forse.

Ma quella notizia, buttata lì con noncuranza, ebbe il potere di resuscitare i Medalllo dalla tomba dove già si erano infilati. Certo 80 mila lire al mese erano tanti, poi si sarebbe dovuta trovare anche la maniera di avere la corrente elettrica. Cominciammo a fare due conti. Noi si era in cinque più uno, Paolo oramai era diventato de facto il secondo batterista della band, non avrebbe fatto certo storie a mettere una quota. Poi c’era Francesco, che abitava da quelle parti e ci aveva fatto capire da un po’ che un posto dove andare ad infrattarsi la sera con la tipa del momento lo avrebbe gradito, e poi era elettricista e ci avrebbe fatto comodo in squadra. Con mio disappunto nel calderone venne messo anche Dimitri. Le quote così erano otto. Il conto presto fatto. Un foglio da diecimila a testa.
Nel 1986 era stata emessa da poco l’ultima versione della banconota da 10 mila lire. Quel bel foglio azzurro e bianco con il faccione di Alessandro Volta aveva sostituito quella tetra del Machiavelli emessa nel 1976 che aveva a sua volta sostituito quella storica del Michelangelo, che circolò dal 1962 al 1977, e che tutti noi da piccoli consideravamo un capitale. Adesso le ultime versioni delle dieci carte sono cambiabili alla Banca d’Italia con 5,1645 euro. Con 5 euro ci si pulisce il culo, con rispetto parlando. Il giornale al mattino costa 1 euro e 20, caffè e bottiglietta d’acqua delle 8 in ufficio un altro euro, caffè e bicchiere d’acqua al bar sotto casa dopo pranzo un euro e 50, biglietto del posteggio per lasciare mezz’ora la macchina in centro alle 18 per le commissioni 1 euro. Avanzo di gestione 30 centesimi da infilare nel salvadanaio sul mobile d’ingresso.

Nel 1977 con diecimila lire si faceva la spesa della settimana per una famiglia media di 4 persone. Nel 1986 con un deca ci stava pizza e birra e un paio di whisky dopo il sabato sera.
Ma avremmo messo tutti la nostra azzurra banconota di felicità per portare a casa un sogno, far si che i Medalllo sopravvivessero. Per il trasloco ci avrebbero aiutati i genitori di Fabrizio, già lo avevano detto. Era gente determinata.

Io e Fabri ci eravamo formati una cultura musicale sui loro dischi in vinile. Eravamo stati compagni di scuola alle elementari. Ai tempi le nostre due famiglie abitavano nello stesso quartiere della città giocattolo e spesso i miei mi posteggiavano a casa loro per il pomeriggio. Raramente si giocava ai soldatini io e Fabri. Preferivamo scavare nella collezione di vinili dei genitori. Un piacere che ci sembrava infinito. In realtà saranno stati 50/60 dischi in tutto. Ma erano le nostre prime scoperte.
Il pomeriggio che la puntina si poggiò su 20 golden hits, una raccolta dei Beatles, rimanemmo folgorati. Ci mettemmo a saltare e cantare in giro fingendo di suonare. Fabrizio prese due penne bic e si mise a suonare la batteria sul bracciolo di una poltrona, l’idea di fare il batterista già c’era. Tanta e tale era la foga che l’inchiostro uscì dai refil sporcando il divano. Cercammo di pulire un po’ ma la situazione peggiorò ulteriormente. Quando i suoi seppero come avevamo sporcato il divano non se la presero. Anzi.

Di quel disco ascoltavamo solo il lato A, le canzoncine più leggere, quelle dei primi dischi. A 7 anni ancora non avevamo la forza di affrontare Let it be o Hey Jude. Ma She loves you e Help ci esaltavano.
Quando per le feste di Natale mi feci regalare il mio primo mangianastri a cassetta pretesi che assieme ci fosse anche la cassetta di quella raccolta dei Beatles. La sera stessa ricevetti i miei primi nastri doppiati da un cugino più grande: Eagles, Police, Rolling Stones, Simon & Garfunkel e Riccardo Cocciante… un inizio tra il sublime e il demenziale di cui ringrazierò per sempre Tiziano, che dovunque sia adesso ci sia sempre una canzone tamarra degli anni ‘70 rock ad accompagnarlo.

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