Ecco la sintesi della relazione del penultimo appuntamento corso di formazione politica ed economica

Ecco la sintesi della relazione del penultimo appuntamento corso di formazione politica ed economica

SCUOLA DI FORMAZIONE POLITICA ED ECONOMICA

ANNO 2022

UN MONDO DA RICOSTRUIRE

 

Martedì  24 maggio

RELATTRICE: VALENTINA CAPPELLETTI

TEMA:

LA PANDEMIA HA PESANTEMENTE COLPITO LE DONNE PENALIZZANDOLE ANCORA DI PIÙ: NON È QUESTA UN’OCCASIONE DA NON PERDERE PER LIBERARE LE LORO STRAORDINARIE RISORSE, TRA L’ALTRO INDISPENSABILI ALLA RICOSTRUZIONE?

(a cura della Cgil Crema)

 

Una politica disastrosa

 

Sono quarant’anni che i lavoratori soffrono, che il loro potere conquistato con dure lotte negli anni Settanta è stato abbattuto, che i loro diritti sono stati smantellati. Il tutto a favore del Capitale. A favore della quota più ricca della popolazione.

Siamo stati ingannati da chi ci ha fatto credere che l’arricchimento dei più ricchi avrebbe avuto come effetto uno… sgocciolamento che avrebbe favorito i lavoratori stessi.

Tutto ha avuto inizio dalla svolta neo-liberista della Thatcher e di Reagan, svolta che è stata seguita di fatto (anche se in misura diversa) da tutti i governi occidentali.

Una politica rovinosa, disastrosa. Una politica condotta così in profondità che oggi è davvero difficile invertire la rotta.

Da qui, talora, lo sconforto e la sensazione di impotenza che colpiscono gli stessi sindacati. Ma un fatto è certo: con gli attuali rapporti di forza (consacrati dalla stessa Unione europea dove operano politici che hanno frequentato la stessa scuola di pensiero e le stesse università), le oragnizzazioni sindacali hanno svolto un ruolo di “resistenza” che almeno ha scongiurato un nostro scivolamento al livello degli Usa dove il sindacato in pratica non gioca più alcun ruolo.

Una resistenza difficile non solo perché i diritti dei lavoratori sono stati fortemente ridimensionati per via legislativa, ma anche perché gli stessi lavoratori sono perennemente ricattati dalle imprese che puntano a contratti ulteriormente peggiorativi.

 

Scelte suicide per l’Italia

 

Se i lavoratori soffrono (è il caso di ribadirlo), se il loro lavoro è sempre più precario, se il livello retributivo si è ridotto drasticamente in Italia, tutto questo è accaduto a causa di precise scelte politiche. Sono i governi italiani degli ultimi vent’anni che, dopo l’ingresso della Cina Nel Wto, ci hanno riposizionati nel mercato globalizzato su settori produttivi a basso contenuto tecnologico e quindi a basso valore aggiunto. Un esempio tra i tanti? Il tessile è sempre stato un nostro fiore all’occhiello, ma noi, anche dopo l’agguerrita concorrenza cinese, abbiamo continuato a produrre tovaglie, coperte (pensiamo al Bresciano), mentre la Germania ha fiutato il vento nuovo e ha scelto un tessile di nicchia ad alto valore, come il tessile sintetico per isolamenti… E così ci siamo suicidati.

E questo è accaduto nei più svariati settori. Sono ormai trent’anni che investiamo poco e male nella ricerca e nell’innovazione e quindi nell’incremento della produttività e così altri Paesi europei si possono permettere retribuzioni decisamente più robuste.

Certo, i nostri governi, già gravati da un debito pubblico pesantissimo, hanno subito gli effetti nefasti del Fiscal Compact che ha prodotto un ulteriore allargamento delle nostre disuguaglianze.

Una domanda: a quanto l’abolizione del Fiscal Compact che è scaduto nel 2019? Non si vede alcun dibattito in merito.

È vero che oggi abbiamo a disposizione generose risorse europee, ma il rischio che corriamo è quello di spenderle male. Che cosa abbiamo fatto col nostro superbonus edilizio del 110 per cento? Abbiamo fatto lievitare a dismisura i prezzi del settore a danno della collettività. Non è tanto un problema di bontà o meno di una legge. Una legge può essere mossa da buone intenzioni, ma ciò che conta è saper monitorarne gli effetti e avere il coraggio, se questi non corrispondono alle attese, di correggerla e di correggerla tempestivamente. Ciò che non è accaduto.

 

Uno spreco abnorme di risorse sottratte alle stesse donne oltre che alla comunità

 

Se i lavoratori in generale hanno sofferto, hanno sofferto ancora di più le donne: la pandemia le ha indubbiamente penalizzate molto più degli uomini. Ma per comprendere il fenomeno, dobbiamo leggere i numeri che si riferiscono a un lasso di tempo sufficientemente lungo: 2008-2021. Ora, con tale sguardo  notiamo che il tasso di occupazione femminile è leggermente migliorato (da circa il 47 per cento a circa il 49 per cento), ma vediamo anche che le donne sono sotto gli uomini di ben quasi 20 punti percentuali. In altre parole, le donne recuperano ma non abbastanza e non abbastanza in fretta. E questo appare anche se confrontiamo i nostri dati nazionali con la media europea che è del 64,2 per cento (non dimentichiamo che nella Ue vi sono Paesi che stanno peggio di noi). Siamo di fronte a un vero e proprio spreco di risorse sottratte in primis alle stesse donne e in secondo luogo alla comunità.

Se poi guardiamo alle professioni occupate dalle donne, ci rendiamo conto che si tratta di professioni, nella stragrande maggioranza dei casi, medio-basse.

E il gap (quello che in gergo si chiama “gender gap”) lo osserviamo anche sul fronte delle retribuzioni: a parità di funzione e di orario di lavoro le donne ricevono un reddito netto mensile inferiore a quello dei maschi.

In più molte sono le donne che lavorano in settori in cui è più alto il rischio di sostituzione tecnologica.

E le sorprese non finiscono qui.

Discriminazioni si registrano pure nella fascia più elevata. Prendiamo in considerazione i laureati in ingegneria del Politecnico di Milano: nonostante le ragazze registrino un voto di laurea superiore a quello dei ragazzi, nel mondo del lavoro sono più i maschi ad avere contratti a tempo indeterminato e inoltre le femmine percepiscono mediamente 200 euro netti mensili in meno.

È possibile riorientare le donne verso professioni a più alto valore aggiunto? Certamente, ma occorre partire dalla prima fascia di età (da 0 a 6 anni): è in questo arco di tempo che i bambini e le bambine iniziano a imparare ciò che gli adulti si aspettano da loro.

 

Miti da sfatare

 

Dobbiamo poi sfatare il mito secondo cui ci sarebbero occupazioni esclusivamente femminili. Ecco un paradosso: quand’anche l’Italia, con le risorse europee, dovesse recuperare il gap con la media europea costruendo molti asili-nido in più, non avremmo personale sufficiente perché sono solo le ragazze a scegliere tale tipo di formazione.

Da qui la necessità di abbattere tale tabù, come pure il tabù secondo cui la cura dei figli e degli anziani debba essere a carico delle sole donne.

Un’ultima considerazione: a quando una “assicurazione universale” (pensiamo, tra l’altro, alla miriade di badanti e colf che lavorano in nero), un traguardo che potremo raggiungere solo ricorrendo alla leva del fisco, trasferendo risorse da chi ha più a chi ha meno?

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