Sanremo, altro che pancia della nazione. Sarà un festival per snobboni e buonisti. Parola di Antonio Gramsci

Sanremo, altro che pancia della nazione. Sarà un festival per snobboni e buonisti. Parola di Antonio Gramsci

Ieri Claudio Baglioni ha dichiarato all’Ansa: “Questo Sanremo sarà un festival popolar-nazionale”. Si tende a pensare che sia stato Pippo Baudo a ‘inventare’ la dicitura nazionalpopolare, e molto spesso il termine viene usato come spregiativo. Una cosa che mette in piazza il gusto del mediocre, l’appiattimento culturale. In realtà il termine nasce nelle riflessioni critiche di Antonio Gramsci. No ma davvero?

Andiamo con calma. Gennaio 1987. Pippo Baudo conduttore di Fantastico 7 e Enrico Manca, allora direttore della Rai, litigano a seguito di un monologo di Beppe Grillo (incredibile vero?) che invitato in una delle puntate dello show di Rai1 fa una tirata sul viaggio in Cina di una delegazione del Psi di Craxi. Quello della famosa battuta “ma se qui sono tutti socialisti a chi rubano?”, che costa al comico genovese (allora lo si definiva ancora così), l’allontanamento della Rai e la sprezzante definizione di Manca: “basta con questa tv nazionalpopolare, e non lo si prenda come un complimento”. Baudo rispose con una geniale battuta, “va bene vuol dire che da ora in avanti farò trasmissioni regionali e impopolari”. Sipario. La guida di Fantastico 7 passa a Lorella Cuccarini, quella che oggi fa tipo la sovranista.

Ma Baudo, che è un vecchio volpone della tv, nel 1996 alla presentazione del, guarda un po’, Festival di Sanremo, dichiara che quella sarebbe stata una edizione “nazionalpopolare, nel senso gramsciano del termine”. Già che intendeva il bell’Antonio quando si inventò il termine? Intendeva parlare dei fenomeni culturali che esprimano valori profondamente radicati nella tradizione di un intero popolo e che interpretano le aspirazioni e la specificità di una nazione.

Quindi questo festival sarà culturalmente legato alla pancia della nazione? Tra i tanti casi polemici che precedono la messa in onda del festival c’è stato quello dell’esclusione della canzone “Porte aperte” dei New Trolls (o ex NT o OT NT, non ho capito, quelli insomma). Una canzone che Noisey definisce: “demo da tastierone Casio con un duo da sagra di paese che ci canta sopra una melodia che assomiglia tantissimo a Hotel California degli Eagles” e che è stata subito adottata dalla stampa destrorsa del paese, tanto che il primo passaggio del video è stato fatto sulla pagina Facebook di Giorgia Meloni con una delle sue seguitissime dirette.

Un testo “geniale” che andrebbe riportato per intero. Che si apre con: “C’è molta gente disperata che non ha perso la dignità non ha una tavola imbandita stringe la cinghia perché lo sa che non arriva a fine mese con le promesse che tu fai e quel poco di lavoro ancora non ne dai”, prosegue con “E questa Italia che da tempo non cammina e ci strascina per le strade tutte rotte e questa Italia che da tempo è lontana non ci priverà del fiato né la forza di gridare”, e si chiude con “Ma siamo gente appassionata della cultura e dei musei davanti a una partita di pallone siamo tutti figli tuoi siamo lo specchio di una vita che tutti ci invidiano la Nazione per i sogni dove tutti sbarcano”, infilando tutti i luoghi comuni nazionalpolopari del momento.

Eppure in gara c’è per dire una canzone che si intitola “Dov’è l’Italia”, di Motta, alfiere indie rock italico, vabbeh passatemi in termine, con un testo che recita: “Dov’è l’Italia amore mio? Mi sono perso Dov’è l’Italia amore mio? Mi sono perso anch’io. Come quella volta a due passi dal mare. Fra chi pregava la luna E sognava di ripartire L’abbiamo vista arrivare Con l’aria stravolta di chi non ricorda cos’era l’amore E non sa dove andare”.

Mi sa che Baglioni non ce la conta giusta. Sarà un festival snob. Geniale sotto questo punto di vista il pezzo della testata Il Primato Nazionale – quotidiano sovranista, che il 22 gennaio titola: “Sanremo, si canta anche in arabo: ma non era il Festival della canzone italiana?”. Classico titolo acchiappa like. Nel pezzo si racconta che, scandalosamente, a fronte dell’esclusione delle canzoni di New Trolls e Dear Jack ritenute trippo sovraniste in gara troveremo il brano di un rapper “tale Mahmood, infarcito di parole e sound arabeggianti. Mister Baglioni, pian piano, svela la sua lavagna tattica: difesa dello straniero e attacco all’italiano (letteralmente). Alessandro Mahmoud è un rapper 24enne nato a Milano da padre egiziano e madre italiana: e già per questo, a Baglioni e Bisio piace. Il suo brano ripropone il “topos” per antonomasia del rap: la denuncia della povertà e della vita al limite, sul cemento difficile della periferia. E fino a qui, nulla di nuovo: ma nella kermesse (in teoria) italiana, si sentiranno parole come “Ualadì” e “habibi”. E giù condivisioni schifate su facebook, che oggi compie 15 anni.

Sarà un festival snob e da salotto della più becera sinistra sappiatelo. Lo dico a quelli che appunto schifano il festival per le canzonette d’amore, il vuoto pneumatico, il politicamente corretto. Ho dato una scorsa ai testi e credo si sarà da divertirsi con le critiche. Tra Achille Lauro che fa il rocker citando nel pezzo nomi di musicisti che parte del pubblico sanremese dovrà googolare, in mezzo a tanti nomi dell’indie italiano che fino all’altro ieri suonavano nei club da 100 persone e adesso riempiono i palazzetti, tra le storie personali incredibili e toccanti alla Ghemon, tra il rocckaccio sporco e da stadio dei Negrita, con Paola Turci che scegli un altro autore cremoese per cercare di nuovo l’assalto al podio, e poi il testo sempre genuale di Daniele Silvestri, il ritorno dal teatro ipegnato di Simone Cristicchi, gli Zen Circus che pochi anni fa mandavano tutti affanculo e adesso… che lo spettacolo cominci.

Emanuele Mandelli

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