Era la mamma di Giorgio e lui e io eravamo culo e camicia, soprattutto nelle porcate più solenni, del tipo saltare i fossi per il lungo. Se uno dei due tornava a casa “abbastanza” pulito, immediatamente scattava un consulto materno per capire perché uno era boisênt (sporco) e l’altro meno. Quasi sempre seguivano interrogatori, ma di poco costrutto, perché noi eravamo di quelli che non parlavano e i nostri affari ce li facevamo in separata sede. Insomma, se vai a fregare i bulloni in ferrovia è chiaro che ci vuole uno che sia operativo e l’altro che faccia il palo. Il primo si sporca, il secondo no. Cazzo, ci vuole mica tanto a capirla!

Poi come sempre succede quando il destino cinico e baro ti obbliga a crescere, va a finire che uno s’innamora e perde per strada quell’altro il quale, a sua volta, s’era preso sul muso  una “tramvata sentimentale” degna di un “quadretto” leonardesco.

Prima toccò a lui e poi, un po’ più tardi, a me.

Quale regalo di nozze mamma Borghi ci consegnò, brevi manu e con una visibile commozione, sei scodelle per il mattutino caffelatte e circa otto chili di biscotti assortiti: “Se decidete di fare una squadra a undici, c’è la riserva.”

“Piuttosto me la cucio”, disse a bassa voce mia moglie e anch’io toccai ferro, legno e quant’altro di potenzialmente scongiurante.

Allora valeva soltanto il nostro sorriso.

Le cose andarono purtroppo per un altri versi e a me rimase in carico quella famosa mezza dozzina di “tazzone” che, per altro, non avevamo mai utilizzato perché, da fighetti, la colazione la facevamo al bar.

E veniamo al dunque. Ora, non faccio per dire, ma quando mi metto ai fornelli sono simile all’ apprendista stregone e quelle scodelle le ho torturate con le più terrificanti sollecitazioni, dall’umile pesto alla genovese (il basilico e i pinoli mi chiesero pietà) fino a un battuto che secondo le mie intenzioni avrebbe dovuto accompagnare uno stinco alla bavarese: aggiunsi troppa anguria e fu il disastro.

La ceramica è anche materia dura, ma se gli rompi i coglioni alla fine si rompe.

Ebbene, ieri mattina ho perso l’ultima delle sei scodelle di mamma Borghi, quella che finalmente mi ero deciso a utilizzare per assecondare gli antichi dettami: sorbire un caffelatte e “puciarci” dentro un po’ di pane vecchio. Siccome la sera precedenza l’avevo utilizzata per altri scopi (una goduria con un’alice sotto sale ben pestata, un cucchiaio di passato e tre lacrime d’olio, tutto al crudo sopra quattro spaghi), m’inguantai per una energica pulizia con il detersivo super concentrato.

Tra le mani mi rimasero i cocci di un altro dei miei tanti universi. Perduti? Col cazzo!

Beppe Cerutti

 

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