Ah … come manca il leggendario Pino Campari, Oste inimitabile, personaggio incredibile e pioniere, con la moglie cuoca, della cucina a Km 0

Ah … come manca il leggendario Pino Campari, Oste inimitabile, personaggio incredibile e pioniere, con la moglie cuoca, della cucina a Km 0

C’era una volta, sulle rive del fiume Adda, tra il territorio Cremasco e quello Lodigiano, territorio di agricoltori, pescatori, cacciatori e sognatori, un personaggio che, sì … con stile tutto suo, non passava inosservato. “Buongiorno bambolina di Kansas City”… Ricordate? Questo era il saluto d’ordinanza, un autentico mantra, che rivolgeva alle clienti del suo locale. E questo suo modo di dire, o meglio, di essere…. pare derivasse da un presunto viaggio negli Usa dove restò ammaliato dalle bellezze locali. Per carità: ancora oggi non è dato sapere se, negli Stati Uniti, ci fosse mai veramente andato. Ma non è un problema: da acuto, esperto Oste sapeva che un complimento fa sempre piacere. Specie se la signora è un po’ avanti con l’età. Ah … si sta parlando di Pino Campari, mitico, mitologico e leggendario titolare, con la moglie Pina (semplice, tipica e poetica: la sua cucina arrivava al cuore), della omonima trattoria di Casaletto Ceredano, sede prediletta degli incontri carbonari delle correnti democristiane (una sorta di “parlamentino” laico) della zona. Ma pure i calciofili della Pergolettese, da quelle parti, sovente si davano appuntamento per trovare la quadra. A pensarci bene, Pino che cuoco non era, a modo suo fu il precursore della cucina locale a chilometro zero. A lui e alla sua Signora (chissà dove saranno e cosa staranno facendo adesso?), indubbiamente va il merito di aver conservato e tramandato determinate ricette (il risotto con le strane per fare un esempio) della tradizione cremasca. Il Pino era soprattutto uno straordinario, appassionato e ruspante imbonitore, col dono di riuscire a leggere il tipo di cliente che entrata nella sua trattoria. Se scattava il feeling: dopo un’oretta abbondante, arrivava al tavolo con la chitarra. La strimpellava appena ma, potenza dell’immancabile (biglietto da visita) bicchiere di Rosso in mano, creare un pathos gioviale, intratteneva e divertiva le persone, trasformava il dialetto cremasco in una ballata irresistibile. Manca un sacco Pino Campari, ma fateci caso: se varcate la soglia del locale, ancora aperto attraverso il nipote Rudy, in certe serata di saudade padana, basta accendere lo spirito, chiudere gli occhi un attimino, che … pare di sentire una chitarrina in lontananza da quelle parti di Casaletto Ceredano, no?

E sarà che l’afa ogni tanto tira brutti scherzi, mah … in questa folle estate nostrana, Pino Campari e la sua verve mancano ancora di più, no?

stefano mauri

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