Calabiano Moresco era tutt’altro che convinto della storia imbastita dalla bella signora, ma il prosieguo delle indagini non apportò nessuna novità. Sperava in qualcosa di più dai tabulati delle telefonate, ma i risultati furono deludenti. Le chiamate fatte o ricevute dalla Sampietro riguardavano quasi esclusivamente il lavoro e le altre conversazioni con conoscenti non furono di alcuna utilità. A volte accennava al pasticcio in cui era capitata, ma nel modo in cui ci si riferisce a una seccatura imprevista e molto fastidiosa: “Capirai che non è affatto piacevole sentirsi ripetere che mi devo tenere a disposizione”, andava lamentandosi la donna. In quanto al Curetti, quello il telefonino manco l’aveva e se proprio doveva chiamare qualcuno usava quello fisso del circolo. Anche qui, però, nessuna comunicazione sospetta sia in entrata che in uscita, ne tanto meno accenni di particolare interesse riguardo allo scomparso: “I carabinieri stanno indagando, non sappiamo ancora nulla circa la sorte del presidente.” Né nulla si sapeva del suo cellulare. Svanito. Zero anche per le successive perquisizioni dell’abitazione: qualche vecchio appunto ritrovato in fondo al cassetto confermava il deteriorarsi del rapporto con la donna, ma le annotazioni ricordavano più i toni da “caro diario” che non la prefigurazione di una minaccia. Alla Sampietro furono mostrati tutti bozzetti rinvenuti: tutti nuovi di zecca, figurini che non aveva mai visto. In compenso non v’era traccia del materiale scartato a suo tempo. La stessa donna consegnò agli investigatori una voluminosa cartella contenente i disegni non utilizzati per la preparazione delle precedenti collezioni. Troppo poco per chiedere l’autorizzazione per procedere alle perquisizioni ufficiali del palazzo di via Borgo dentro le mura e dell’abitazione del Curetti.

Non rimaneva che l’ipotesi della pista estera, ventilata dalla stilista. Un lavoro da certosini per il quale l’Arma chiese la collaborazione dell’Interpol: compagnie aeree e uffici passaporti delle ambasciate prese in considerazione vennero setacciati, ma di Ippolito Tancredi Ottaviano Balbo nessuna traccia. Moresco forzò ulteriormente la mano e riuscì a ottenere la collaborazione dei servizi di sicurezza: si trattava di accertare se tra le nuove case di moda sorte nei principali mercati emergenti negli ultimi due anni vi fosse titolarità oppure presenza di personale italiano. Un lavoro lungo un secolo, infine trascurato per il sopraggiungere della crisi finanziaria ed economica che travolse l’intero mondo occidentale: fallimenti a catena e disoccupazione crearono forti tensioni sociali anche all’ombra dell’antica torre civica.

 

Il maresciallo drizzò una volta di più le antenne quando venne a sapere che Francesca Sampietro aveva messo in vendita palazzo e azienda, mantenendo tuttavia una partecipazione nella gestione del marchio. Una transazione obtorto collo, si disse, ma il cui ricavato era più che sufficiente per campare di rendita e magari farsi un bel giretto intorno al mondo. Cosa che di lì a poco la signora fece, destinazione Caraibi: “Mastrostefano, stiamo in campana, che magari tra poco prende il volo anche l’amico Curetti. Anzi, uno di questi giorni andiamo a fargli una visita.”

“Mi scusi maresciallo, ma che gli possiamo fare?”

“Niente, tranne mettergli addosso un po’ di paura… Per esempio, dove cazzo li ha trovati i soldi per acquistare la casa di via Zacchetta? Vedi un po’ di saperne di più. Rapido, eh?!”

“Vabbè… Comandi marescia’…”

“Che fai marrano, vacilli?”

“Noo signore, è che…”

“Scattare!”

….

“Allora, caro Mastrostefano, che mi racconti di bello?” L’appuntato sembrava il ritratto di un partecipante a un funerale di terza classe, di quelli che per legge, alla sepoltura del caro estinto, è necessaria almeno la presenza di un testimone. Peppo Curetti era a posto. Libero professionista con tanto di patacca corporativa di seconda classe, ottenuta per aver pubblicato decine e decine di articoli su varie testate quotidiane, settimanali e mensili. Il gruzzolo se l’era guadagnato girando il mondo un po’ di qui e un po’ di là, frequenti viaggi nei Paesi americani di lingua spagnola. Sposato nel 1978, pochi anni dopo compra una casetta a schiera con giardinetto davanti e di dietro. Mutuo decennale al cui pagamento contribuisce anche la moglie. Poi le cose vanno in vacca e i due si separano, vendono la casa e si spartiscono equamente l’ammontare, vale a dire circa 70 mila euro a cranio. Il nostro eroe, che già vedeva declinare la sua stella, decise di cercare fortuna altrove. La casa di via Zacchetta è stata acquistata al costo di 60 mila euro, rogito compreso, più altre piccole spese per interventi di ristrutturazione. Quando iniziò a collaborare con il circolo culturale il suo conto in banca ammontava a circa 3500 euro.

“Maresciallo, di più non sono riuscito a sapere”, disse Mastrostefano esausto e preoccupato.

“Ottimo lavoro… Ma perché, chiediamoci, ‘sto figlio di malafemmina venne proprio qui? Condizioni di mercato immobiliare favorevoli? Certamente! Ma nel sud della Lombardia altri posti offrivano e offrono identiche e appetibili opportunità e non solo per acquistare una casa.”

“Porca miseria ci siamo… È partito per la tangente” pensò il sottoposto.

“Appuntato Mastrostefano, cazzo! Perche qui l’affascinante signora Franziska zu Reventlow aveva residenza e magione principesca! Hai capito? No?! Non importa. Chiedi al Commissariato se gli è già stato rilasciato il passaporto e poi vattene a dormire, che mi sembri uno straccio. Ah, non ci sono più i carabinieri di una volta. Domattina viene in borghese, che a ‘sto giornalista dei miei coglioni gli facciamo una sorpresa.”

Uscendo dall’ufficio del maresciallo il giovane appuntato incrociò alcuni colleghi che gli ricordarono l’appuntamento per la pizza serale: “Ciò, ti me pare un fantasma, ma cossa ti ga?”

“Farinon, non mi rompere i coglioni…”

“Boia… Mastro, che ti succede?”

“L’affare Itob è diventato un chiodo fisso e domattina Calabiano Moresco riparte per la Crociata, senza scudo, però con uno scudiero, io.”

“Poareto! Se la va mal, come minimo ti va a Gaeta, se la va peggio ghe se pronto el plotòn d’esecusione. Ciò, coleghi, salutiamo il morituro!”

 

Per non dare nell’occhio i due si recarono all’abitazione del Curetti in bicicletta, pedalando secondo lo stile degli sfaccendati, vale a dire adagio. Svoltando da via Baldari per via Zacchetta, Moresco notò sulla destra la storica pizzeria Bi&Bi: “Forno a legna. Si fa servizio a domicilio”. All’angolo opposto la vecchia villa a due piani, perimetrata tutt’intorno da un basso muretto e da una fitta siepe di alloro, era stata impacchetta per lavori di ristrutturazione: un quadrilatero trasformato in un cantiere in piena attività. Il cancello d’ingresso, in ferro battuto nella parte superiore, si spalancava sulla via Baldari; dentro, in quello che poco prima era stato un giardino alberato, si vedevano qua e là mucchi di macerie, sacchi di cemento, bancali carichi di mattoni, una betoniera, un camion per la raccolta dei detriti e operai indaffarati. “Di’ un po’, Mastrostefano, è lì che la nostra bella espatriata sostiene di essere stata aggredita dal maniaco, vero?”

“Sì maresciallo, proprio davanti al cancello, dove sono state rinvenute le macchie di sangue. Il laboratorio ha stabilito che gruppo sanguigno e Dna sono identici a quelli del professore.”

Sul volto di Calabiano Moresco si dipinse un ghigno diabolico, che intimorì ancor di più il già preoccupato appuntato: “Marescia’, se mi mandano a Bolzano, giuro che divento disertore!”

“Tranquillo. Quel cantiere mi ha dato un’idea per spaventarlo a morte e se è come penso io ‘sta canaglia la teniamo in pugno!”

Peppo Curetti non era in casa. Stava rientrando da via Rabbaglio con il sacchetto della spesa e quando in lontananza vide passare i due carabinieri si nascose dietro un grosso furgone in sosta, sbirciando con apprensione. Dopo un paio di minuti se li vide venire incontro: lo sportello posteriore del mezzo era aperto e senza pensarci due volte saltò dentro il vano il tempo necessario per lasciarli allontanare. Il vicino di casa del piano terra lo informò che un certo signor Calabiano lo aveva cercato; doveva tenersi pronto, perché quel rompiscatole sarebbe tornato.

 

Peppo Curetti non poteva sapere che quello stesso pomeriggio il maresciallo Calabiano Moresco sarebbe stato chiamato dal sostituto procuratore che a suo tempo, vale a dire oltre un anno addietro, aveva coordinato le indagini sulla scomparsa di Ippolito Tancredi Ottaviano Balbo.

“Che ci faceva questa mattina, insieme all’appuntato Mastrostefano in via Zacchetta? Lei non mi sembra uno di quei tanti pensionati morbosamente attratti dai cantieri edili…”

“Dottore, ci siamo presi una mezza giornata di riposo. Sono settimane che non tiriamo il fiato…”

“Maresciallo, la città è piccola e la Procura della Repubblica ha orecchie un po’ ovunque e, inoltre, si dà il caso che ieri sera un agente della Polizia giudiziaria si sia ritrovato casualmente a mangiare un pizza insieme ad alcuni suoi uomini. Cazzo!!! Voglio sapere che cos’ha in mente!”

Da uno shampoo allo zolfo con diffida a un altro con polvere pirica: “Mastrostefano, sei come Giuda Iscariota!

“Marescia’, e chi lo conosce ‘sto Giuda Iscariata?”

“Ti piacerebbe andare a Bolzano, vero? E invece no, perché tu finirai in Libano, come volontario. Pezzo di fesso, a chi sei andato a raccontare della nostra esplorazione al Quartiere nuovo?!”

Il ragazzo però gli sembrava sincero, ingenuo ma sincero. Lui, invece, era stato troppo impulsivo: “Un crociato senza scudo.” “Com’è che t’è venuta in mente questa allegoria? Va be’ non importa.” Ma l’idee di essere preso per il culo da un assassino, anzi, da due, proprio non riusciva a mandarla giù. “Mastroste’, in Procura non credono alla mia ipotesi, adesso ti racconto…”

“Maresciallo, ho un paio di buoni amici che lavorano nel settore immobiliare… Chiacchierare e ascoltare fa parte del loro mestiere…”

Peppo Curetti aveva messo in vendita l’appartamento, anzi, l’acquirente s’era assicurato una riduzione sul prezzo d’acquisto accettando di lasciargli la casa per un altro trimestre. Poi avrebbe proceduto con alcuni lavori di sistemazione per poterla affittare a qualche famiglia straniera con regolare permesso di soggiorno. Un business, come si dice. Il nuovo proprietario è lo stesso che già ha messo mano alla villa d’angolo tra le vie Baldari e Zacchetta. Lì ci abitava soltanto suo padre, persona anziana, acciaccata ma risoluta: quella era la sua casa e non l’avrebbe mai lasciata. Addirittura, più per fare un dispetto al figlio che per convinzione, aveva incaricato un’impresa di giardinaggio per fare alcune nuove piantumazioni in giardino. Buona parte del terreno, quello verso via Rabbaglio, era stato messo sottosopra per ricambi di terra e favorire un nuovo humos. Questo verso agosto. Poi però le condizioni di salute del vecchio si aggravarono e i lavori vennero sospesi.

“Mastrostefano, mannaggi‘o cazzo, tu farai carriera. Ora, punto primo: pur non conoscendo le diatribe tra padre e figlio, il Curetti aveva osservato il via vai dei lavori. Punto secondo: il posto si prestava al disegno criminoso. Punto terzo: la sera del 12 ottobre non fu la signora Sampietro ad essere aggredita, bensì il professore. Punto quarto: là sotto c’è il cadavere di Itob. Punto quinto… punto quinto… Perché?”

“Maresciallo, il tempo stringe. Se tornassimo a far paura al Curetti?”

“Sì, così tra le macerie del Libano ci finisco pure io. Un momento… macerie. Mastroste’, possiamo provare a improvvisare. Con discrezione metti sotto controllo il cantiere e quando vedi che appare una ruspa qualsiasi c’inventiamo qualcosa.”

 

“Buon giorno signor Curetti, come sta? Vedo che sta traslocando…”

“Maresciallo, dovrei credere che lei sia qui per caso? Giorni fa il vicino di casa mi ha detto che un certo signor Calabiano era venuto a cercarmi.”

“Sì, ma lei non s’è fatto sentire.”

“E per quale ragione, visto che è ritornato. In questi scatoloni ci sono le quattro carabattole che i suoi uomini hanno già avuto modo di esaminare. Le lascio in un magazzino qui vicino, con i pochi mobili che ho. I libri me li farò spedire, il resto è in vendita. Se vuole ficcarci il naso un’altra volta, libero di farlo.”

“Dove andrà signor Curetti?”

“Ancora non lo so. Il nuovo presidente del circolo culturale non ha più bisogno di me. Vedrò di trovarmi qualcos’altro…”

“Magari all’estero? Ho saputo dal Commissariato che ha fatto richiesta di un nuovo passaporto.”

“Lei sa molte cose.”

“Già, anche che con Cuba il nostro Paese ha firmato un accordo di estradizione, però valido solo per crimini accertati. Che farà sotto la barba ingrigita di Fidel?”

“Col gruzzoletto ricavato dalla vendita della casa conto di avviare una piccola attività commerciale. Visto che ‘el jefe’ s’è ritirato, con Raul qualche liberalizzazione è possibile… Che ne pensa, maresciallo?”

“Che Cuba è terribilmente vicina ad Haiti e con quel Paese non vi è nessun trattato di estradizione.”

“Che c’entra Haiti?”

“Come, non lo sa? La signora Sampietro adesso vive lì in veste di crocerossina.”

“Francesca… La signora Sampietro?”

“Già, proprio lei.”

“Ma guarda… Magari mi trova un altro lavoro.”

“Perché no? La rinascita di una nazione devastata dal terremoto potrebbe passare anche per la moda. Mi immagino il suo prossimo ‘lay out’: ‘Franziska zu Reventlow, la Fenice haitiana’. Graziosi abiti per l’export verso i mercati sudamericani, prezzi di assoluta concorrenza e lavoro per la manodopera locale femminile. Gli ultimi modelli firmati da Ippolito Tancredi Ottaviano Balbo, scomparso senza lasciare traccia. Una leggenda.”

“Maresciallo, se non le dispiace, sono stufo di stare con questo scatolone tra le braccia. I libri pesano… e ne ho ancora un centinaio da caricare sul furgone…”

“Tranquillo, caro Curetti. Non sono qui per lei. Vede, nei lavori che si stanno facendo nella casetta lì avanti, abbiamo riscontrato diverse irregolarità. Controlli, glielo dico in via confidenziale: ci è stato segnalato che nella parte retrostante del giardino sia stato seppellito dell’amianto. Tranquillo, e se decide di andare ad Haiti, mi saluti tanto quella donna affascinante!”

 

“Quali reazioni, Mastrostefano? E perché quella faccia scura?”

“Maresciallo, Peppo Curetti… Via lei è andato a guardare il giardino e quando ha visto l’escavatore dietro la casa gli è presa la frenesia. Marescia’… e chi andava a pensare che si sarebbe buttato dal balcone! Però non è morto. S’è tirato giù con uno scatolone tra le braccia. Insomma, s’è frantumato ma non abbastanza. La zavorra ha attutito il colpo.”

Beccare un omicida è un conto, indurre al suicidio un presunto assassino è altra cosa. Però mise da parte qualsiasi scrupolo morale. Questa volta sarebbe andato fino in fondo alla faccenda. Alzò la cornetta del telefono e compose il numero del comandante provinciale, che chiamò il comandante regionale che chiamò il capo di Stato maggiore che chiamò il ministro della Difesa che chiamò il ministro degli Interni che chiamò il Guardasigilli che chiamò la Procura generale eccetera eccetera… Il vice procuratore della Repubblica firmò l’autorizzazione a procedere, mentre la moglie stava preparando le valigie. La signora sperava in un trasferimento più gratificante, ma anche Bolzano andava bene: avrebbe potuto approfondire le proprie modeste conoscenze della lingua tedesca.

 

Una trentina di anni di carcere avrebbero consentito a Peppo Curetti di rinsaldare con calma le fratture derivate dal tonfo suicida. Interrogato, consentì la ricostruzione dei fatti:

Itob era innamorato di Francesca la quale, però, aveva avuto un ritorno di fiamma per Curetti.

Itob non la prese bene ma non perse le speranze e diede lavoro al Curetti, quale segno di buona volontà.

Itob, però, pretese anche di poter allargare i gomiti negli affari dell’azienda.

Francesca non gradì, benché consapevole che Itob nel frattempo fosse diventato un ottimo stilista.

Itob, consapevole della propria professionalità, chiese a Francesca di troncare ogni rapporto con il Curetti.

Il Curetti mangiò la foglia affinando le strategie di doppiogiochista. Da un lato circuì il professore, fino ad allora poco propenso al bere, dichiarandosi semplicemente succube dei sensi. Dall’altro mettendo a frutto decenni d’esperienza come gigolò.

Francesca fece altrettanto e da questa triangolo ne risultò che il terzo incomodo era proprio il professore, che nel frattempo aveva minacciato Francesca d’abbandono professionale per mettersi in proprio.

Non s’è ancora capito chi, tra la Sampietro e il Curetti, assunse il ruolo di mandante, ma i due ordirono l’agguato di via Baldari e di sicuro il Curetti, per sua stessa ammissione, fu l’esecutore materiale dell’omicidio. Una botta in testa e seppellimento del cadavere in quella parte del giardino già rivangata per nuove piantumazioni. L’accesso era facilitato dal fatto che, proprio per i lavori in corso, il vecchio cancello non veniva chiuso neppure di notte, solo accostato. In sostanza, quattro colpi di pala per allargare e approfondire una buca. Nessuno ci avrebbe fatto caso. In seguito, con l’inizio dei lavori di ristrutturazione della casa, quella parte di terreno venne pressata e in parte anche asfaltata per consentire una migliore agibilità dei mezzi.

“Infine la messa in scena che ha aperto l’intero capitolo dell’inchiesta. Allo stato attuale dei fatti”, fece presente il nuovo sostituto procuratore, “l’inoltro formale di una richiesta di controllo cautelativo presso il governo haitiano risulterebbe quasi del tutto inutile, soprattutto considerando i gravissimi problemi che deve affrontare quel Paese. In via riservata abbiamo fatto presente la situazione alla Croce rossa italiana, suggerendo il trasferimento della crocerossina Francesca Sampietro. Ma ci è stato risposto che nel frattempo la signora in questione ha abbandonato la divisa e si è data ad attività più remunerative. Insomma, riportarla a casa non sarà affatto facile.”

“Dottore, mi scusi. Esiste un’ambasciata italiana a Port au Prince?”

“No, l’ambasciata di riferimento è Santo Domingo. Per quello che ne so, esiste un vice consolato onorario che in questo momento, a seguito del terremoto, è stato trasformato in un centro di riferimento per la raccolta degli aiuti umanitari, con un paio di funzionari della Farnesina e una mezza dozzina di militari per l’assistenza tecnica. Se le può interessare, in situazioni d’emergenza come quella haitiana, di solito l’attaché militaire è un ufficiale dei carabinieri che fa capo ai servizi d’intelligence. In questo caso sappiamo che è il capitano Tommaso Todisco.”

Calabiano Moresco si limitò a sorridere: “Quando ero a Torino, ho conosciuto un Todisco. Tommasino detto l’Iberico. L’unica parola di castigliano che conosceva era ‘Olé’. Per caso, ha mica il numero di telefono di questo collega mio?”

Beppe Cerutti

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