Lorenzo Biagiarelli da Cremona: “Dire che i poveri mangiano meglio dei ricchi è pure offensivo”

Lorenzo Biagiarelli da Cremona: “Dire che i poveri mangiano meglio dei ricchi è pure offensivo”

Un po’ in ritardo per il fuso orario, ma mi andava di commentare l’ultima uscita del ministro del Sovranismo Alimentare Lollobrigida. Se ve la siete persa, ma credo di no visto che sta dappertutto ed è già forse sufficientemente commentata (anche da se stessa), al meeting di Rimini ha detto che in Italia “spesso i poveri mangiano meglio dei ricchi”. All’interno di un discorso più ampio che riguardava le pratiche alimentari degli Stati Uniti, dove “le classi meno agiate vengono rimpinzate con elementi condizionanti che vanno nell’interesse del venditore più che del consumatore finale”, il ministro ha affermato che qui da noi i poveri, “cercando dal produttore l’acquisto a basso costo, spesso comprano qualità”. Benché sia vero che l’accesso ‘obbligato’ al fast food e quindi all’obesità in America abbia molto a che fare con il censo (e quindi, spesso, anche con la comunità di appartenenza), il fatto che da noi i poveri mangiano meglio dei ricchi è totalmente falso.
È sufficiente un singolo dato per poterlo affermare: le sei regioni con il pil pro capite più basso sono le medesime sei regioni con i più alti tassi di eccesso ponderale di peso, vale a dire obesità e sovrappeso sommati. Molise, Campania, Basilicata, Puglia, Sicilia e Calabria. Regioni con una cucina sontuosa, è vero, ma qui non si parla di sapori, purtroppo. Si va da una percentuale di eccesso ponderale del 45,1% calabrese al 49,7% del Molise (dati dell’Istituto Superiore di Sanità). Questo fatto incontrovertibile è sufficiente a dimostrare che no, i poveri non mangiano meglio dei ricchi. Al massimo si può affermare che i poveri italiani mangiano meglio dei poveri americani, come del resto gli italiani mangiano meglio degli americani, dal momento che il tasso di obesità negli Stati Uniti è quasi il doppio del nostro. Ma come vi sarà evidente, non è quello che ha detto il ministro, nonostante ora per difenderlo stiano cercando di mettergli delle parole in bocca con ardite parafrasi.
Allo stesso tempo però è evidente perché il ministro, di parole, abbia scelto proprio quelle. Da una parte è la solita captatio benevolentiae, unita alla retorica della povertà che, senza scendere in politicismi con l’abolizione del reddito di cittadinanza, affascina da sempre il mondo della cucina. In tutto il mondo, eh, ma anche qui in Italia. La romanticizzazione della povertà è sempre passata dal cibo, perché è l’orgoglio del sudore della fronte ma anche l’elemento su cui è più facile inventare balle. È più facile dire che i contadini del Polesine mangiassero tutti i giorni focaccia di grano bianco ricoperta di cipolle e abbondante strutto, perché è difficile dimostrare quanto in realtà fosse l’eccezione festiva di poche volte all’anno di una dieta di polenta (questa cosa me l’aveva raccontata ai tempi Alberto Grandi). In un paese in cui il cibo ‘povero’ (o presunto tale) è diventato marketing, è importante aggiungere sempre legna al fuoco della narrazione. Un po’ come fa Lollobrigida col suo “acquisto a basso costo, ma di qualità, dal produttore”. La verità delle famiglie povere, come dimostrano i livelli di obesità, non è certo questa.
La verità è che l’acquisto a basso costo i poveri, che non hanno certo alcuna colpa per la loro indigenza, lo fanno generalmente al supermercato, pescando tra le offerte, comprando quando possono carne e pesce di bassissima qualità, provenienti da allevamenti intensivi (come i ricchi, per carità, che però possono permettersi di non farlo), oppure oli raffinati, alimenti ultraprocessati, prodotti dolciari zeppi di grassi saturi a basso prezzo ed economicissimo zucchero. Questo accade perché le aziende, esattamente come in America, possono produrre in larga scala cibo che economico altrimenti non sarebbe, e portarlo allo stesso prezzo di cose che sarebbero economiche per loro natura (avevo già affrontato l’argomento qualche tempo fa). Se a questo aggiungiamo il tradizionale abuso di insaccati e formaggi stagionati, abbiamo raggiunto il mix perfetto. Quest’ultimo fatto spiega bene le eccezioni dell’Emilia Romagna, che è terza nella classifica del pil procapite ma ben ottava in quella dell’eccesso ponderale, e quella al contrario della Sardegna, 14esima per pil ma tra le regioni più virtuose dal punto di vista dell’obesità grazie alla sua dieta spesso studiata in correlazione alla longevità.
L’altro motivo per cui il ministro ha fatto questa affermazione è, ovviamente, per elogiare le aziende italiane contrapponendole a quelle statunitensi. In un paese, il nostro, dove McDonald’s è il principale sponsor dei villaggi Coldiretti, oltre che membro eminente di Filiera Italia. Quindi, il fast food cattivo della prima parte del discorso di Lollobrigida può essere allo stesso tempo una delle eccellenze della nostra alimentazione. Come del resto di Coldiretti può far parte il piccolo produttore di uova nei boschi di Sondrio come il colosso da milioni di galline stipate in gabbia. Così che distinguere sia difficile e che della reputazione del primo possa beneficiare pure il secondo. Il povero non acquista le uova, a un euro l’una, di galline allevate in libertà senza triturare i pulcini maschi. Il povero acquista il cartone da dodici a 2,99 di uova da galline a terra quando va bene, in gabbia quando va male. Per lui, ma soprattutto per le galline. Perché il cibo a basso costo, nell’era della fattoria industriale (come la chiamava Singer) trasferisce il fardello economico sulle spalle dell’animale, o su quelle del suolo, o su quelle della manovalanza o, per tornare alla nostra classifica, sullo stato di salute di chi lo acquista.
Se siete arrivati fin qui avrete capito che no, in Italia (come in qualsiasi altro luogo del mondo) i poveri non mangiano meglio dei ricchi. Ma già che ci siamo, permettete anche a me un pensiero un po’ populista: una cosa del genere, detta da chi può permettersi di mangiare da ricco, oltre che falsa è anche un po’ offensiva. Giusto un pochino.

Così postò via social Lorenzo Biagiarelli: viaggiatore, chef, fotografo, scrittore e Blogger cremonese, innamorato però di Senigallia e della sua compagna Selvaggia Lucarelli…

stefano mauri

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