Da Lino Banfi ad Adriano Celentano, questa italia dove la cultura è un cinepanettone

Da Lino Banfi ad Adriano Celentano, questa italia dove la cultura è un cinepanettone

Sono cresciuto con i film di Lino Banfi. Non solo i suoi. Con tutti quei film di serie Z che compongono il filone dei film di genere italiani, commedie scollacciate, naziporno, cannibaleschi, zombeschi, poliziotteschi. Con tutta quella pattuglia di disperati che era difficile capire quanto fossero caratteristi nella vita e quanto lo fossero nei film: Alberto Pastorino, Aldo Macione, Alfio Patane, Alfredo D’Ippolito, Angelo Infanti, Annabella Schiavone, Annuziata Fuciarelli, Antonino Faa Di Bruno… e va beh, la lista potrebbe essere infinita.

A suon di battute epiche di Mario Brega da “sta mano po’ esse fero o po’ esse piuma: oggi è stata na piuma”, oppure “A me fascio? Io fascio? A zoccolè, io mica so’ comunista così, sa’! So’ comunista così!”. A scoreggie di Alvaro Vitali, a tette di Edwige Fenech, ad accenti improbabili da tedesco delle Sturmtruppen di Gianfranco D’Angelo, a febbri da cavallo, a ellamadonna e taaaac di Renato Pozzetto.

Film improbabili commedie degli equivoci dove tramaccioni di ogni risma si trovavano ad essere al centro di incredibili avventure. In un film un po’ più recente, anno 2013, dal titolo “Benvenuto presidente”, un improbabile bibliotecario interpretato da Claudio Bisio e che si chiama Giuseppe Garibaldi si trova per quella strana omonimia ad essere nominato Presidente della repubblica. E ovviamente risolve i problemi partendo dal basso. In molti ci hanno visto una sorta di parabola sul grillismo dell’uno vale uno.

Ieri Di Maio ha presentato il nuovo rappresentante per l’Italia all’Unesco. Lo sapete tutti. Pasquale Zagaria, in arte Lino Banfi. Pugliese doc, classe 1936, centinaia di film alle spalle. Ha iniziato subito a fare battute. Dai sorrisi al posto delle lauree, dai nonni patrimonio dell’umanità alla “mi sento il Lino di Mameli”, questa è sottile. Nell’Avanspettacolo degli anni ’60 da cui viene dopo una battuta così qualcuno dal pubblico avrebbe urlato “facce ride”.

Abbiamo riso in tanti, tutti, ieri all’annuncio della cosa. Pure Salvini che ha rincarato con “e adesso aspetto le nomine di Jerry Calà e Umberto Smaila”, si anche a me piacevano i Gatti di Vicolo Miracoli. In quest’Italia che è meglio di un cinepanettone, meglio di una qualsiasi commedia all’Italiana dove c’era il risvolto culturale e amaro dietro alle maschere dei Manfredi, Tognazzi, Gassman, il segnale è chiaro. Anzi no. Non lo è. E’ contrastante.

I Five Star sono stati i fautori del nominano degli sconosciuti per le loro competenze e non per chi sono, sono stati quelli del non andiamo in tv, quelli della pluralità delle voci, della diretta streaming, delle conoscenze.

Nell’ultima settimana oltre a Banfi all’Unesco mi ha colpito la notizia che nella novella Rai2 di Freccero Beppe Grillo condurrà uno show. Come se nel 1994 su Canale 5 Berlusconi avesse avuto un programma di prima serata. Mi ha colpito anche vedere come l’operazione “Adrian” di Celentano sia stata massacrata in reta da alcuni. Criticando anche il dispendio economico, magari scordandosi che Canale 5 essendo una tv privata i suoi soldi li può spendere come gli pare.

Sputi contro il cartoon distopico dove uno sconosciuto con le canzoni rompe gli ingranaggi del Grande Fratello. E guarda caso fa l’orologiaio e gli ingranaggi li ripara. Un cartoon disegnato da Milo Manara, con le musiche di Nicola Piovani. Una operazione di animazione (quasi) mai vista in Italia. Un Celentano che non dice nulla di nuovo (rispetto alle cose che sostiene da anni) ma che pare una voce fresca nell’omologazione odierna delle fake news, ed è tutto dire a 82 anni.

Si discuteva con una amica di modelli culturali inesistenti nella sinistra italiana. Di figure vecchie, ripiegate su di loro, incapaci di parlare alla pancia della gente ed educare le masse al bello. Come invece alcuni grandi pensatori del ventesimo secolo hanno saputo fare. Tanto che si è costretti ad appigliarsi ad un Baglioni qualsiasi che per una “banalità ovvia” detta sui migranti si è preso del buonista da una parte e del maître a pensar dall’altra.

Mentre i gialloverdi procedono a suon di selfie col cibo e comunicazione rozza ma efficace quelli che dovrebbero essere le menti critiche si arrovellano su questioni di lana caprina, come capire quale è la differenza tra le mozioni Zingaretti e Martina, o come capire soprattutto chi diavolo siano Zingaretti e Martina.

E’ così signori e signori. Come il mago che ti distrae con un movimento della mano mentre dall’altra parte mette in atto il trucco ci stanno distraendo con Lino Banfi mentre dall’altra parte è in atto la totale demolizione della capacità di avere uno sguardo critico nei confronti di quello che accade. Un trucco perfetto e ben riuscito a cui bisogna fare tanto di cappello perché non era facile da mettere in campo.

Tutti lì a parlare di Banfi all’Unesco senza rendersi conto che altre cose sono ben più particolari e da discutere. Una sorta di strategia della tensione rivista e aggiornata i tempi dei social network dove tutti i giorni occorre immettere nel flusso delle migliaia di cazzate che intasano la nostra timeline notizie di colore, mezze fake news, considerazioni su cosa in-importanti. Una distrazione di massa che fa emergere l’analfabetismo funzionale anche nei meno sospetti.

Emanuele Mandelli

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