Otto dischi per l’estate, un bilancio di metà anno per il 2016 della (mia) musica

Otto dischi per l’estate, un bilancio di metà anno per il 2016 della (mia) musica

Dal 1964 al 2003 si è tenuta una manifestazione che tutti noi abbiamo sentito nominare. Si chiamava Un disco per l’estate. Una sorta di Festival di Sanremo estivo pensato per portare sulle spiagge un po’ di tormentoni estivi. Basti dire che la prima edizione la vinse Los Marcellos Ferial con Sei diventata nera. L’ultima triste edizione del 2003 condotta da Paola Barale e Max Pisu andò ai B-nario con Meglio da soli. Va beh ma non volevo parlare di vetuste manifestazioni musicali, quelle che si guardano distrattamente al mare, sulla tv che vira al verde, tubo catodico, 12 pollici, della stanza d’albergo a Finale Ligure, con le pile del telecomando che avete dovuto mettere voi.

Ma è estate. Siamo al cazzeggio di notizie e vorrei parlare di 8 dischi. Una sorta di tappa intermedia in attesa della classifica dei dischi del 2016 che farò come da tradizione a fine anno. Otto dischi disparati che ho molto ascoltato, o che dovrei riascoltare di più, usciti in questi primi mesi del 2016. Il primo è per forza di cose Blackstar. Testamento artistico di David Bowie, uscito l’8 gennaio il giorno stesso dalla sua scomparsa. Una cosa che pareva quasi un incredibile caso ma che alla fine si è saputo essere stata quasi pianificata. Un disco cupo, un disco asfissiante, pieno di meraviglie. Perfetto per gennaio e per le notti calde ed estive.

Tre dischi italiani molto diversi sono usciti a marzo. Tutti e tre da sentire. Il primo e la sorpresa per ora di questo 2016. Si intitola La fine dei vent’anni ed è di Motta. L’ex batteria e voce dei Crimonal Jokes si fa produrre un disco da quel genio di Riccardo Sinigallia, si fa suonare le chitarre e dare una mano in alcuni pezzi da Giorgio Canali e sforna un capolavoro in bilico tra pop, indie, musica trasversale… Da sentire. Una conferma gli Statuto con Amore di classe, un concept album in stile Who ambientato nella loro Torino. Una sparata da sentire tutta di un fiato. Poteva essere un azzardo un disco di cover per Giorgio Canali. Ma Perle per porci è un discone. Cover poco conosciute, che paiono tutte pezzi dell’ex chitarrista dei Csi. A parte Le storie di ieri di De Gregori e F104 di Finardi il resto sono perle davvero sconosciute. Bello.

Una spruzzata di metal con Terminal redux dei Vektor. Terzo disco di super thrash tecnico per gli americani. Un doppio fatto di brani lunghi ed elaborati. Un tuffo negli anni ’80 delle partiture intricate, dei passaggi che lasciano senza fiato, con una quarta facciata da applausi per il cambio di ritmo e lo stile quasi pinkfloydiano. Una sorpresa, per me, il Post pop depression di Iggy Pop. Prodotto da Josh Homme dei Queen of the stone age, un disco davvero bello da sentire e risentire, con la vociona baritonale dell’iguana mai cosi in forma negli ultimi anni. Preso quasi per caso davvero gradito.

Una scoperta relativamente recente per me è Lucinda Williams. Il doppio super cupo super americano The ghosts of highway 20 lo devo risentire ancora bene perché e bello assai ma non ci sono ancora andato del tutto a fondo. Così come non sono andato a fondo di Canzoni della cupa di Vinicio Capossela. Monumentale quadruplo di canzoni popolari e canzoni sue ma scritte come se lo fossero. L’ho solo scalfito intuendo quanto c’è da comprendere. Delusione, ma da un po’ è così, il nuovo Radiohead. Noioso come mai, spocchioso come mai, piatto e inutile come mai. Divertenti i Red Hot Chili Peppers, con un disco dal sapore anni 90. Di mestiere ma ascoltabile. Buon ascolto.

Emanuele Mandelli

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