Short story, la guerra italo-finlandese

Short story, la guerra italo-finlandese

Saltò fuori un giorno che tra l’Italia e la Finlandia si manifestò una gravissima crisi diplomatica, derivata da una distorta interpretazione dei soliti luoghi comuni: un funzionario dell’ambasciata finnica disse a un pizzaiolo, neppure partenopeo ma nato e cresciuto a Cornate d’Adda, che per fare la pizza alla napoletana si poteva benissimo sostituire l’acciuga con l’aringa del Baltico. Però non disse “aringa” bensì “Harengula sprattus”. Digiuno di latino, ché a lui quella lingua lì gli era sempre sembrata una presa per il culo, il cuciniere prese a schiaffi l’incauto nordico.

L’increscioso episodio giunse alle orecchie di un giornalista del maggiore quotidiano capitolino, il quale ne diede notizia nella pagina di cronaca cittadina. Non stiamo a raccontarvi la trafila, ma l’accaduto entrò a Montecitorio. Ora è bene precisare una cosa, del resto risaputa: da Bolzano a Palermo non si va d’accordo su niente, ma se qualcuno ci tocca la pizza, allora c’incazziamo.

Ne segui un’interrogazione parlamentare e conseguente convocazione dell’ambasciatore finlandese a Palazzo Chigi. Colui che non porta pegno riferì la risposta di Helsinky: “Ma che cazzo vogliono ‘sti ignudi latini?” Senza por indugio, il presidente del Consiglio rispose a mezzo stampa: “Abbiamo a che fare con delle menti congelate.”

Va anche detto che le popolazioni coinvolte non presero troppo sul serio la questione, tuttavia l’immaginario collettivo si mise all’opera, soprattutto quando fu evidente che a nulla erano serviti i vari incontri politici bilaterali né le intermediazioni internazionali. Insomma, la minaccia che si stava profilando all’orizzonte lasciava presagire la concreta possibilità di un ricorso all’uso della forza. Il mondo intero rimase con il fiato sospeso nell’attesa della dichiarazione di guerra: i due Paesi si sarebbero scontrati sul campo di battaglia.

Ma quale?

Roma impartì ordini affinché il ministero della Difesa approntasse una piano di mobilitazione generale, con appropriate truppe d’invasione. “Fin su là col freddo che fa?”, chiese il capo dello Stato maggiore dell’Esercito: “Forse se venissero giù loro noi saremmo in grado di accoglierli come si deve.” “Mobiliteremo il Fabbricone di Prato, il reparto invernale del settore calzaturiero e i pomi-spaghettifici per il rancio. Da bere, vino meridionale di quello tosto”, rispose il Governo.

Nel frattempo cominciarono ad affluire i primi volontari, tutti ben attrezzati per le lunghe notti finlandesi, compresi gli occhiali per vedere il sole di mezzanotte e piccole imbarcazioni a vela: cazzo, quello là è o non è il Paese dei laghi? Ci fu addirittura qualcuno che, avendo una vaghissima cognizione geografica di dove diavolo si trovasse la Finlandia (“è lì, vicino alla Russia”), si presentò al Car (Centro addestramento reclute) con i dischi di Tony Dallara (urlatore) e Achille Togliani (melodico), oltre a una spropositata quantità di penne a sfera e calze di seta.

A Helsinky non è che se la passassero meglio: file della madonna, maschi e femmine, per entrare nel corpo di spedizione che avrebbe dovuto invadere l’Italia: ciabattine infradito, costume da bagno, un telo da spiaggia e vai. Qualcuno arrivò addirittura a millantare parentele italiche con idioma annesso. Conosci l’italiano? Sissignore: Mafia, Brigate rosse, spaghetti, pizza (ovviamente) e Funiculì funiculà. Vichingo e barbaro per storica definizione, l’esercito d’invasione finlandese incontrò tuttavia enormi difficoltà nello stabilire quali sarebbero stati i più idonei punti di sbarco: Bordighera, Finale ligure, Costa Smeralda, oppure spingersi ancora più a sud: Capri o la Sicilia?

Le Armate erano comunque pronte, ma non sapevano come cazzo muoversi, perché l’Europa aveva precluso loro ogni possibilità di transito terrestre, aereo e marino.

La notizia di tutto ‘sto gran casino tra il Mare nostrum e le acque baltiche era giunta alle orecchie di Poseidone il quale, in uno dei suoi rari momenti di saggezza, ma anche nella speranza di accrescere la propria potenza tra gli Olimpici, decise che il “casus belli” lo avrebbero risolto i diretti interessati, vale a dire le acciughe e le aringhe. Le schiere si confrontarono alle Colonne d’Ercole, laddove le acque calde cominciano a raffreddarsi e quelle fredde a riscaldarsi. Un fastidio della madonna, ché tutti avevano soltanto una gran voglia di tornarsene a casa loro. Giunsero dunque a un compromesso di tipo monarchico per salvaguardare le dinastie ed evitare la guerra: un matrimonio d’interessi dal quale nacque l’acciuringa, che diede fama internazionale alla cosiddetta “pizza alla finlandese” ma che scarso credito ottenne nel Mediterraneo.

Beppe Cerutti

 

Immagine: “La guerra”, di Vitaliano Parussini (1926-1989)
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