Il caso Itob

Gli ci volle un po’ di tempo, ma poi si convinse della colpevolezza di Francesca Sampietro. Però non aveva alcun elemento per provarlo. Mancava il morto.

Lei stessa lo aveva ammesso con un sorriso che trapassava l’ironia per adagiarsi lungo la corrente delle cose ineluttabili, come fiocchi di neve che si posano sull’acqua: restano un attimo agonizzanti e poi scompaiono. La cartelletta color carta di zucchero aperta sulla scrivania conteneva pochi fogli e un appunto scritto a mano, frettolosamente: “Mitomane (?)”.

Nella dichiarazione rilasciata, la donna sosteneva di essere responsabile della morte di un uomo a lei sconosciuto, avvenuta a seguito di una volgare aggressione perpetrata ai suoi danni con chiari intenti a sfondo sessuale. Il fatto sarebbe accaduto verso il crepuscolo di una giornata piovosa, in via Baldari, strada solitamente poco frequentata e scarsamente illuminata. L’uomo, che non appariva saldo sulle gambe e il cui alito denunciava un abuso d’alcol, perse l’equilibrio a seguito del violento spintone infertogli dall’aggredita, con ciò rovinando pesantemente al suolo e picchiando la nuca sul bordo del marciapiede. Immantinente s’allargò di sotto il capo una vermiglia e cangiante macchia di sangue. Sconvolta, la signora si diede alla fuga, per presentarsi poche ore dopo presso la locale caserma dell’Arma e raccontare l’accaduto. La dichiarazione venne raccolta verso le ore 23 del 12 ottobre.

“Mastrostefano! Immantinente? Vermiglia? Cangiante? Ma come cazzo scrivi?!”

“Marescia’, testuale, come riferito dalla Sampietro!”

Sul posto venne immediatamente inviata una macchina del pronto intervento al comando del brigadiere Cozzolino il quale riferì, dopo un’attenta perlustrazione della zona, di non aver trovato né agonizzanti né, tanto meno, feriti. Sul luogo indicato dalla donna, all’angolo con via Zacchetta, vi era però una macchia scura che poteva sembrare sangue. Per precauzione ne è stato raccolto un campione con un raschietto di fortuna, sistemato nell’apposita bustina plastificata e inviato al laboratorio d’analisi; operazione segnalata nel rapporto ora agli atti.

“Dal che possiamo dedurre che il tipo in questione s’è ripreso e s’è squagliato”, commentò Moresco sbirciando le altre carte. La signora Sampietro risultava avere una vita personale molto riservata, di scarse ma selezionate frequentazioni mondane, e da quelle parti s’era ritrovata a seguito di una semplice passeggiata. Le piaceva camminare sotto la pioggerellina e quando la meteorologia autunnale combinava bene con il tempo libero ne approfittava per acquietare i tormenti dello spirito.

“Appuntato! Proprio così ha detto?”

“Sissignore!”

“Ma come cazzo parla ‘sta qui?”

“Si diletta in poesia, maresciallo. In gioventù aveva fatto la modella per poi mettersi in proprio come creatrice d’alta moda. Attività con alti e bassi ma che negli ultimi anni si è mantenuta su buoni livelli. Agganci all’estero e un marchio di prestigio: Franziska zu Reventlow. Stiamo controllando che cosa vuol dire. A quattrini è messa bene. A proposito: ha aggiunto che il fiato del tizio emanava pesanti sentori d’anice, liquore corroborante per la creatività quanto nefasto per gli equilibri psichici…”

“Proprio così ha detto?”

“Testuale…”

“Franziska zu Reventlow? Questa matta dove abita? Via del Borgo dentro le mura? Andiamo a farle una visitina.”

“Franziska zu Reventlow? Una nobildonna che fu al centro della vita culturale di Schwabing, a Monaco di Baviera, e che per alcune settimane fu ospite dei miei bisnonni agli inizi del Novecento. Morì attorno ai cinquant’anni, con un sorriso. Disse: ‘Sono un poco timorosa, ma sono certa che quando nel nulla entra una donna, anche il nulla avrà il suo bel daffare’. Un nome che da solo prelude alla creatività e per chi come me esercita la professione di stilista, è stato uno stimolo notevole.”

Calabiano Moresco una casa così l’aveva vista soltanto al cinema, oppure quando se l’era ricostruita ascoltando le vaghe nostalgie di sua madre, che a sua volta le aveva sentite dalla nonna, laggiù in Sicilia: “Calabiano, te lo dovessi immaginare quello che mi raccontava mammà. La dama che l’abitava era una donna bella come un fantasma buono ma malinconico. Un’immagine gotica, stemperata. Scusa, picciriddu, sto parlando difficile, ma mamma mia mi raccontava che quando entrava in quell’enorme palazzo per andare a lavare i panni, sentiva che i muri sudavano parole e rumori e anche risate di bimbi.”

“Mamma, non capisco.”

“Mamma mia diceva che… Ecco… per un attimo le mancava il respiro, come quando ti ficco la testa sotto il rubinetto, ché sei sempre pieno di polvere e di pidocchi.”

Una dimora settecentesca che aveva respirato la storia e che ora sembrava esausta. Quasi che non sopportasse più il rumore di nuovi passi. Poteva reggere solo quelli dei fantasmi. Calabiano Moresco si sentì protetto dalla divisa, perché gli parve che colonne di pietra, mura antiche, stucchi e affreschi fossero abituati ai panni spessi delle autorità, al tintinnare di medaglie e decorazioni su sparati bianchi, di speroni e di sciabole. Di compiaciute tonache cardinalizie e di alte tube municipali. Gli parve anche di cogliere la eco di sussurri lontani, infantili, curiosi e divertiti, come quelli di bimbi celati da una siepe, oppure da un roseto, dal tronco di un albero centenario: “Franziska… vieni a vedere… è arrivato Radezsky”.

“No maresciallo, l’austriaco non è mai stato in questa casa, ma Garibaldi sì, tempo dopo. Ma venga la prego, le faccio strada.” Donna di classe, e bella, Francesca Sampietro.

 

“Marescia’, abbiamo raccolto una denuncia per scomparsa. Si tratta del professore Ippolito Tancredi Ottaviano Balbo, ultimo superstite di una storica famiglia locale insignita di scudo araldico per avere ‘con salda e giusta spada ripristinato l’ordine ai confini della fluviale Marca d’Adda, a lungo contesa tra il milanese sforzesco e i serenissimi veneziani’. Maresciallo, così è scritto tra le carte che abbiamo trovato.”

“Mastrostefano, se continui a stendere i rapporti a ‘sta maniera…”

“Preseguo, col suo permesso. Docente di lettere e arti figurative, è presidente del circolo culturale cittadino, al quale ha dato un forte impulso intellettuale ripristinando corsie preferenziali a favore della poesia classica, vituperata ignominiosamente dalla stravaganza di giovinastri poco adusi al romanticismo e inclini ai decadenti rumori di fondo di una società moralmente decomposta…”

“Se stai cercando di farmi capire che hai bisogno di una giornata di riposo, basta dirlo. Che cazzo è ‘sto modo di parlare! Questa è una caserma dei carabinieri, mica l’accademia della crusca!”

“Il professor Ippolito Tancredi eccetera è stato visto per l’ultima volta nel tardo pomeriggio del 12 ottobre, al Bar Centrale, dove ha consumato la bellezza di tre aperitivi alla francese, marca Pastis, roba da stroncare un mulo. Poi ha attraversato la piazza dirigendosi verso il palazzo municipale. L’ultimo che lo ha visto è stato il parroco della Cattedrale, mentre percorreva via Battisti, direzione piazza del Vecchio Teatro. Pioveva e il professore non aveva né ombrello né cappello. Punto.”

Il naso di Calabiano Moresco incominciò a prudere. Quel nome lungo un chilometro lo affascinava come la carta moschicida e sentiva per istinto che l’avrebbe portato verso un mucchio di seccature. Uno scenario che andava scongiurato, esorcizzato: “Appuntato, per brevità al fascicolo testé aperto daremo un nome in codice, ‘affare Itob’, acronimo dei tanti battesimi di questo signore. Va bene?!”

“Testé? Acronimo?”

“Mastrostefano, non mi scassare la minchia se no ti spedisco a Bolzano. E intanto prova a risentire quelli che frequentano il circolo culturale, visto che la segnalazione è partita da lì. Abitudini, frequentazioni, insomma… le solite cose. Fatti dare l’elenco degli associati e recupera una fotografia dello scomparso da dare ai giornali. Chiediamo al Procuratore l’autorizzazione per entrare in casa. Cazzo, una settimana è parecchio tempo. Se è lì dovrebbe puzzare, no?”

 

Non era lì. Un appartamento confortevole e ben arredato. Con una stanza adibita a studio: scrivania in stile Biedermaier ma anche un cavalletto da pittore e un tavolo da disegno. Una libreria come si conviene a un insigne studioso e quadri, molti dei quali, dissero i soci del circolo culturale, realizzati dallo stesso inclita pedagogo. Dame in costume d’epoca, ma anche esili signorine con abiti futuristici su sfondi metropolitani. E una grossa cartella contenente bozzetti che lasciavano pensare a disegni per tessuti, dal floreale al geometrico, modelli di vestiti vagamente tracciati, altri quasi definitivi: insomma, moda, per la “collezione Franziska”. Moresco si grattò il naso energicamente: “Mastrostefano… che mi dici dei frequentatori del coso lì, del circolo? Controllati bene?”

“Sì maresciallo. Vicepresidente un ex giornalista con compiti di addetto stampa, poi altri nomi più o meno conosciuti in città e con il ruolo preminente di sostenitori economici. Pagano per far pubblicare le loro fatiche letterarie. Volontariato da grafomani abbienti, se mi è consentita l’opinione. L’unico che ne ricava un rimborso spese è il cronista. Un mezzo spiantato in attesa di andare in pensione che si chiama Peppo Curetti. In totale una cinquantina di persone, però con una buona presenza di giovani: lì trovano sempre qualcuno disposto a sostenerli nelle spese per l’allestimento di una mostra piuttosto che per la stampa in tipografia.”

“Per caso non è che ci sia anche la signora Francesca Sampietro?”

“Da queste parti quel cognome si spreca, ma quella lì no, non c’è. Neppure negli elenchi degli anni precedenti. Il ‘cenacolo’, come lo chiamano, è nato una ventina d’anni fa.”

“Ci sarà un libro mastro, che so, entrate da ricavo oppure donazioni, soprattutto uscite…”

Il giorno dopo ricevette il rapporto dell’appuntato: in entrata quote associative piuttosto elevate, poi donazioni e qualche bonifico; nell’insieme abbastanza per costituire un discreto conto corrente. In uscita spese per l’affitto dei locali, per la stampa, per la promozione, per l’allestimento di mostre, eccetera; dai contribuenti dobbiamo escludere la componente giovanile: studenti che vivono quasi esclusivamente della paghetta settimanale piuttosto che di modesti ricavi per prestazioni occasionali, part time piuttosto che lavori stagionali. A metterci i quattrini erano circa una ventina di persone, decisamente benestanti. Le stesse che sostenevano anche i vari club di servizio piuttosto che parrocchie o associazioni di volontariato. Tutto documentato, o quasi.

“E ‘sto Curetti come viene pagato?”

“Non è scritto, maresciallo. Abbiamo sentito l’interessato: non dispone di un conto corrente e il compenso mensile, alcune centinaia di euro, gli viene consegnato in contanti direttamente dal presidente, che però è scomparso. Stiamo verificando presso le banche cittadine e l’ufficio postale se il Curetti l’ha raccontata giusta. Comunque il tipo collabora: senza dover passare attraverso la Procura, ci ha permesso di fare una visita molto discreta in casa sua; un’abitazione modesta, mobili scompagnati, libri e giornali dappertutto, disordine e polvere in abbondanza. Insomma, non sembra che se la passi bene. Semmai il contrario e quando siamo passati a trovarlo era piuttosto alticcio, diciamo pure ubriaco. In cucina abbiamo visto una bottiglia semivuota di quel liquore francese, come si chiama… Pastis… Sì, quella roba lì che si beve allungata con l’acqua…”

“E dov’è che abita sto tizio?”

“In via Zacchetta…”

“Cazzo, magari all’angolo con via Baldari?”

“Proprio lì, verso la parte chiusa sul fondo.”

“Mastroste’, mettiamo sotto controllo sia lui che la Sampietro: telefoni, abitazioni, pedinamenti, non dobbiamo perderli di visto un solo momento. Col cazzo che la nostra specialista in ‘òt cutür’ è una mitomane. A modo suo ci ha raccontato la verità. Sollecita il laboratorio d’analisi per quel referto raccolto dal brigadiere. Se è come penso l’aggressione alla stilista e la scomparsa del docente sono collegate e temo proprio che tutta questa storia finirà molto male.”

“Maresciallo, ma che vuol dire ‘ot cutur’?”

“È francese. Si scrive haute-couture ma si pronuncia come abbiamo detto prima, hai capito adesso?”

“Forse, ma che vuol dire?”

“Aaa Mastroste’! Nel rapporto, se ti capita, scrivi… scrivi… alta cucitura!”

I nomi strani capitavano sempre a lui: Ippolito Tancredi Ottaviano Balbo e in più ci voleva pure ‘sta Franziska zu vattelappesca. Bisognava rimettere insieme i vari pezzi del mosaico.

 

 

“Signora Sampietro, mi dica… Lei conosce il professor Itob?”

“Scusi?!”

“Il presidente del circolo culturale, Ippolito Tancredi…

“Ah… il caro Ippolito!”

“… Ottaviano Balbo…”

“Ma certo che lo conosco…”

“E magari conosce anche Peppo Curetti, l’addetto stampa del circolo culturale?”

“Peppone, ma sicuro, un vecchio simpatico lazzarone più attratto dalla bottiglia che non dalla scrittura. L’ho caldeggiato personalmente al professore, perché ritengo abbia ancora del talento da spendere. Ma perché tutte queste domande?”

“Il professore è sparito nel nulla ormai da un paio di settimane e noi non possiamo trascurare nessuna pista…”

“Signor maresciallo, mi risparmi le citazioni da romanzo giallo. Che cosa le fa pensare che io abbia a che fare con l’improvvisa latitanza di Ippolito?”

“Signora, abbiamo perquisito l’abitazione di Itob… Mi scusi, del signor Balbo, e abbiamo trovato una serie di bozzetti con la dicitura ‘collezione Franziska’, cioè il marchio della sua casa di moda. Ci può dare qualche spiegazione?”

“Capisco… Maresciallo, spero di poter contare sulla sua discrezione.”

Moresco fece un cenno amichevole col capo. Sul viso della donna si leggeva imbarazzo, cautela, ma anche un freddo disappunto prossimo alla collera. I due s’erano conosciuti alcuni anni prima in maniera quasi fortuita. Accogliendo la proposta della preside di un istituto tecnico professionale cittadino, il circolo culturale s’era fatto promotore di una sfilata di moda con abiti disegnati e realizzati da studenti e studentesse giunti all’ultimo anno degli appositi corsi dedicati alla sartoria. I capi presentati in passerella sarebbero stati indossati da alcuni degli stessi allievi. Francesca Sampietro figurava tra gli invitati, quale indiscussa esperta in materia. In quella occasione venne a conoscenza del fatto che il Balbo era anche stato docente di numerose lezioni di disegno creativo. Le vennero sottoposti a giudizio numerosi bozzetti disegnati dallo stesso professore, forse un poco grezzi ma indubbiamente originali. Ne scaturì inizialmente una collaborazione limitata a pochi modelli, che avrebbe sponsorizzato attraverso il proprio marchio. L’iniziativa ebbe successo e i rapporti di lavoro s’intensificarono, ma sorsero anche i primi contrasti.

“Itob, tanto per usare l’acronimo da voi impiegato, si mise a corteggiarmi e devo ammettere che la cosa mi lusingava, da un lato, ma altresì mi preoccupava, perché ho imparato a mie spese che difficilmente sentimenti e lavoro vanno d’accordo, almeno in un settore come questo, dove l’egocentrismo è quasi la norma. Devo anche aggiungere, tuttavia, che la buona impronta stilistica maturata da Ippolito mi consentiva di dedicare più tempo all’attività commerciale. Vede maresciallo, Franziska zu Reventlow è un marchio apprezzato, ma non può competere con i colossi dell’alta moda. Per farla breve, all’invadenza del corteggiatore si assommarono inammissibili interferenze professionali e allora decisi di troncare qualsiasi rapporto con lui. Non lo vedo da circa un anno.”

“Ma come spiega la presenza dei bozzetti che abbiamo ritrovato? Sono tutti di data recente.”

“Dovrei vederli, perché si fa presto a cambiare una data. Non dimentichi inoltre che su dieci bozzetti, almeno la metà vengono scartati prima ancora di passare all’esecuzione. Ciò che avete trovato potrebbe dunque essere del semplice materiale archiviato. Posso aggiungere comunque che alcuni conoscenti che operano nel settore mi avevano avvisato, un po’ di tempo fa, che Ippolito stava tentando di allacciare contatti con alcune case di moda sorte di recente in Russia e in altri Paesi dell’ex blocco sovietico. Magari anche con i cinesi o con i sudamericani, chi lo sa?”

“E di Peppo Curetti cosa mi dice?”

“L’ho conosciuto a Milano quando ancora non era una otre gonfia d’alcol, ma un free lance abbastanza quotato. Siamo stati amanti in una delle tantissime storie metropolitane. Identiche a mille altre: un ‘coup de foudre’ durato lo spazio di una estate. Poi s’è volatilizzato, per riapparire qui in un paio d’anni fa: mi disse che con gli ultimi risparmi s’era comprato un piccolo alloggio in città e che stava cercando qualcosa da fare perché era senza lavoro. Con l’esperienza acquisita riteneva che sarebbe stato più facile trovare qualcosa da fare in una piccola città di provincia, così lo raccomandai al professore con una certa insistenza. Seguirono alcune telefonate di ringraziamento e qualche incontro casuale. Tutto qui.”

“L’appartamentino di via Zacchetta?”

“Non lo so, le pare che dovessi chiedergli dove abitasse?” (1-continua)

Beppe Cerutti

 

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