Gli anni in cui il Natale cade a metà settimana crea nei giorni che lo precedono una sorta di limbo festivo. E il 2013 era proprio uno di quegli anni. Complice una giornata uggiosa, di quelle che ti fanno rimpiangere le bolle di caldo africano o il cristallino gelo di Cervinia a gennaio, la scatola rossa e bianca venne invocata con tre giorni di anticipo. Giaceva nell’anta del comó delle occasioni speciali, vicino al Monopoli, all’album di nozze, al filmato dei primi passi dei figli e alle orrende bomboniere che si mettono in bella vista solo in occasione della visita del parente, privo di gusto, che qualche lustro prima le aveva scelte.

I due mazzi blu e rossi ricoperti dai palloncini svolazzanti planarono sul tavolo in leggero anticipo rispetto alla replica de Il piccolo Lord, alla Messa di Mezzanotte e a sant’Idraulico liquido, abitualmente invocato la sera della natività.
Eppure, al rituale del conto delle carte, un’amara scoperta lasció tutti sbigottiti: sul fronte dei quaranta rettangoli di cartone patinato apparivano solo sfondi bianchi con scritto in basso il numero e il nome delle figure che si erano dissolte, svanite, cancellate.

Dopo mille supposizioni, incredulità e qualche mugugno di disapprovazione, l’annoiata comitiva famigliare passó ben presto a una sfida a Scala 40, rassicurati dal fatto che coppe, spade e bastoni (per aderenza alla realtà soprassediamo sui denari) erano sempre lí, al loro immutabile posto.
Credo peró di dovervi svelare questo segreto, ancor più misterioso di quello di Fatima, della strage di Ustica e della morte di Bin Laden: ogni anno il 7 gennaio, le quaranta figure del Mercante in Fiera, certe che nessuno si ricorderà di loro fino a prossima ritualità dicembrina, si animano e fuggono dai mazzi per tornarvi alla natività successiva e, chiamate all’appello prima del suono delle luci del presepe, stavano semplicemente compiendo il loro viaggio verso casa (auguriamoci nessuna di loro ascolti i suggerimenti della perfide cartelle della Tombola e si affidi per il tragitto a Trenord). Ormai svelata (solo a voi fidati lettori) tale leggendaria abitudine, scopriamo indiscretamente le loro avventure in questo funestomanonbisesto anno domini duemilatredici.

  • 1- LO STRUZZO Non per niente è il numero uno; si è trovato a fare il Presidente del Consiglio: non votato, non eletto, non voluto, ma la sua capacità di nascondere la testa sotto la sabbia e non vedere che nessuno lo vuole, gli ha permesso di raggiungere traguardi inaspettati. Nel 2014 i mercati peró prevedono un aumento del consumo della sua carne: si paventa il macello (dicasi anche porcellum).
  • 9- IL CANE  Finito anni or sono agli onori della storia cinematografica, interpretando il Pongo de La Carica dei 101 vive un presente da quadrupede mignon, candido e riccioluto, il cui nobile obbligo è scodinzolare per un anziano, abbronzato come Carlo Conti e una bionda fanciulla che si proclama sua fidanzata (nella logica canina è come se Lessie si fidanzasse con Brian, cane dei Griffin). Dopo il tranquillo periodo di svezzamento ha visto pitonesse, molto simili alla mai dimenticata Crudelia, piangere lacrime del cugino coccodrillo e uomini che, pur senza guinzaglio, gareggiavano in feste e leccamenti vari al suo padrone. Ah, dimenticavo, odia il nome da idiota che gli hanno affibbiato ed è certo che il suo padrone un tempo aveva un suo simile con un nome più dignitoso di cui gli parla spesso: Emilio (Carneade! Chi era costui?).
  • 12- ZEBRA Con poca fantasia dal 1897 preferisce non cambiare scelta di vita. Nell’anno che volge al termine ha vinto uno scudetto (detto anche “stimolatore erotico per il sesso maschile”), mentre da un ostile percorso, chiamato “Champions League” è stata per due volte scacciata (con onestà intellettuale la povera zebra è in realtà occorsa in un coito interrotto -durante un’orgia con stalloni teutonici- ad aprile e in una disastrosa ed inaspettata eiaculazione precoce una decade or sono).
  • 17-FOCA Per non incappare nel tragico rischio di essere uccisa a bastonate da vili cacciatori di pelli, è finita nello spot tormentone di un noto operatore telefonico. Al suo martirio ha preferito quello del telespettatore comune. Con un umorismo travolgente un tempo era “monaca”, ora semplicemente Monica.
  • 26- CASTELLANA Abituata a dileggiarsi tra titoli nobiliari e residenze di regia memoria, si è calata, non si sa bene come, nelle vesti ( “nelle”, non “le”, siete i soliti malpensanti) della padrona del cane sventurato di cui sopra. Vive tra ville e palazzi, bada a un milionario anziano e capriccioso e si preoccupa del costo al chilo dei fagiolini e delle patate olgettine (fingete di non conoscerle eh?). Un triste presagio fa supporre che nel 2014 dovrà personificare Raperonzolo e usare le sue lunghe chiome per far uscire dal Palazzo in cui dimorano il suo amato badato: amorevoli evasioni.
  • 27- GIAPPONESINA In compagnia dei russi e degli arabi costituisce la triplice alleanza dello shopping di lusso. Si vendica senza pietà della sua fama di carta portasfiga, osando là dove gli italiani possono a malapena spiare dalle vetrine (o lavarle, se son fortunati). A far la geisha non ci vuole tornar più. Dal kimono al monokini. Di Prada peró.
  • 29-ANCELLA Trascinata dallo “struzzo” a giocare al buon governo, è diventata Ministro dell’Integrazione (credo) e, improvvidamente inesperta, ha deciso di lasciare il segno eliminando le parole “mamma” e “papà, decisamente le più discriminatorie del vocabolario. Per il resto ama occuparsi di “suoli”. Probabilmente nel 2014 si incarnerà nel Ministro dell’Agricoltura o in esattrice di TOSAP.
  • 31- MOSCHETTIERE Ha scelto la corte medicea del ventunesimo secolo, paladino del “tutti per uno, uno per tutti” di dumasiana memoria, ha sconfitto il contemporaneo Richelieu e la sua corte con primarie, leopolde e porte a porte. Le malelingue di corte, o meglio di carte, lo profetizzano futuro Don Chisciotte contro i mulini a vento. I suoi Prodi (scusate la maiuscola, terribile refuso) lo chiamano già LoRenzi il Magnifico.
  • 35-LATTANTE E Royal Baby fu. Si è fatto attendere come si conface a una star (nemmeno metamorfizzatosi in Pia Fico nel 2012 si era concesso tanto clamore) il nuovo erede al trono del Regno Unito, peccato che se seguirà le orme del nonno paterno, sarà “erede” pure in tempo di andropausa. A lui il compito di ricreare entusiasmo intorno alla spenta monarchia britannica (in regno italico tal compito è stato riaffidato al bisavolo Re Giorgio). Per il 2014 è destinato alla coppia di accademici Satta-Boateng: dopo secoli di cicogne, ai trepidanti genitori il nascituro verrà portato da un uccello azzurro, il Twitter.

Dopo queste avventure, diciamocelo, molto mercantesche, le nostre figure (che hanno preferito la bicicletta a Trenord) scivolano precipitosamente sul fronte delle carte, tornando ad essere rassicuranti immagini della tradizione e, con altri riti sacri e profani, scandiscono liete il nostro Natale, custodi tenaci del loro segreto (ricordate lettori, vi avevo chiamato “fidati”).

E dopo averci sentito lamentare per l’ennesimo bagnoschiuma ricevuto, visto riciclare la solita cravatta del bisnonno al cugino di terzo grado alla seconda e udito affannosamente  digerire pure l’abbacchio del presepe, torneranno esauste e felici nel fondo dell’armadio, pronte a nuove fughe di cui noi saremo all’oscuro. Finito il dì di festa, chiudendo con liberatorio fragore l’anta del vecchio comó, scandiranno insieme a noi versi di stilnovistica memoria: “E pure sto Natale se lo semo levati dalle palle”; e, in mezzo ai suoi trentanove compagni, “lo struzzo” continuerà a fingere di non comprendere che noi (io e voi lettori di buon senso) gli auguriamo il medesimo destino.

Barbara Locatelli

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