Due citazioni per mettere le basi del discorso che andiamo a fare. Il poeta americano James Russell Lowell diceva: “solo gli stupidi e I morti non cambiano mai opinione”. Giorgio Gaber, che se posso cito sempre, diceva: “Un’idea, un concetto, un’idea, finché resta un’idea è soltanto un’astrazione. Se potessi mangiare un’idea, avrei fatto la mia rivoluzione”.
Qualche anno fa guidai una vera e propria crociata sulla stampa locale contro cover band e soprattutto tribute band. Il concetto di base era: meglio musica originale, magari anche merdosa, che musica ripetuta pedissequamente pur se capolavoro. Il discorso era amplio. Rifiutarsi di scrivere musica nuova voleva dire non buttare nuove idee nel calderone della storia della musica e insomma se voglio sentire Vasco Rossi o Ligabue prendo su e vado a sentire l’originale e non i Bar Mario o gli Asilo Repubblic del caso (non me ne vogliano le due band citate come esempio).
Poi passano tipo vent’anni. Adesso devo dire che se mi ritrovo a sentire la band di ragazzini che mi propone i loro pezzi, a meno che non siano dei geni, mi viene l’orticaria. Mentre invece che so ascolto volentieri il buon Paolo Cella e la sua cricca che propone per la milionesima volta un pezzo dei Beatles. Che è successo? Sono cambiato io o sono cambiati i musicisti?
E’ la seconda volta in pochi giorni che mi chiedo se sono cambiato io o è cambiato il mondo attorno a me. L’ho fatto per un pezzo critico e affettuoso verso il cambiamento della Festa dell’Unità che ha scatenato un dibattito da cui è sorta la considerazione che voglio fare in questo pezzo. Lo faccio adesso.
Nel dibattito succitato mi sono preso del capriccioso da uno screamzino per aver detto di preferire il mio letto, un the verde e un vecchio vinile alla musica che attualmente propone la Birroteca della Festa dell’Unità. Si è scomodato addirittura Matteo Piloni oramai in tutte altre faccende affaccendato per dire che forse sono cambiato io, “magari non ti piace più ascoltare musica assieme agli altri, o scoprire nuovi gruppi”, ha scritto tra le altre cose.
Diciamo che l’affermazione è vera al 50 per cento. Quest’anno mi sono fatto due piccoli viaggi da solo, a Lucca e Verona, per sentire della musica assieme ad altre migliaia di persone, ma non per seguire la new sensation del momento ma per due mostri sacri della musica: Eagles e Pino Daniele. In contemporanea non ho avuto voglia di sentire un solo concerto della Birroteca ma mi sono divertito come uno scemo a sentire una tribute band degli Ac/Dc a Castelleone pochi giorni fa, i Riff Raff per la precisione.
Ma come? Tu non eri quello che voleva mettere fuori legge le tribute band? Ebbene, come da citazione iniziale: solo stupidi e morti non cambiano idea. L’illuminazione mi è venuta durante questa discussione. Oggi andare ad ascoltare una tribute band dei Beatles o un orchestra che propone che so Beethoven è di fatto la stessa cosa. Una parte della musica rock che noi e i nostri padri abbiamo vissuto in diretta si è classicizzata. Ha oramai 40 o 50 anni di storia sulle spalle, anche di più. Le persone che l’hanno scritta sono morte, si sono ritirate. I gruppi che l’hanno incisa si sono sciolti.
Non è possibile andare a sentire dal vivo i Beatles, i Queen, i Rem. Tra poco non sarà più possibile neppure andare a sentire gli Ac/Dc o che so i Motorhead, visto lo stato di salute di alcuni di loro. Per quanti anni ancora potremo vedere i Rolling Stones, o gli Iron Maiden? Perché cotringere i nostri figli e nipoti ad ascoltare questi classici della musica popolare solo su cd o in mp3? Sarebbe appunto come ritenere assurdo che le orchestre propongono e ripropongono i grandi pezzi della musica classica.
Sempre lo screamzino di prima ha sostenuto che sarebbe assurdo e antistorico portare sul palco: “la cover band di Casirate”, come se fosse una categoria dello spirito, peggio della casalinga di Voghera di Alberto Abrasino. Ma si sbaglia. Si sbaglia perché non ha capito che si è creato un nuovo pubblico che fino a 15/20 anni fa non esisteva.
Facciamo due conti. Io oggi ho 43 anni. Sono nato nel 1971 e sono cresciuto con il rock e il metal degli anni ’80 (in diretta) scoprendo in differita quello che era successo negli anni ’60 e ’70. Quando sono nato io chi allora aveva la mia età di oggi era nato nel 1928, vent’anni fa chi aveva 43 anni era nato nel 1951.
Tanti numeri per dire che fino a vent’anni fa i 40/50 enni se ascoltavano musica (salvo rari casi) sentivano il liscio, o Claudio Villa o la musica di Sanremo degli anni ’50. Oggi i cinquantenni vanno a sentire Neil Young. Non ce ne frega un cazzo dei ragazzetti che cercano di stupire con le rime rap sboccate e volgari che raccontano del degradi delle periferie urbane, a noi le ha raccontate Bruce Springsteen. Vogliamo il rock, il nostro rock, quello classiccizzato che oramai è diventato un prodotto intoccabile sicuro da proporre e riproporre.
Lo fanno le case discografiche, che ogni lustro ripropongono i cataloghi rimasterizzati, ripuliti, riproposti dai mostri sacri. E tutti a comprare. Non è assurdo che vendano di più i cd dei Beatles o dei Pink Floyd all’ennesima riproposta che e nuove uscite liquide che tuttalpiù vedono il singolo radiofonico andare in testa alla classifica degli Mp3 scaricati da iTunes?
No, non lo è. Perché che ha la cultura e i soldi da cacciare per mantenere in vita il mercato discografico siamo per ora ancora noi. E siamo noi che riempiamo piazza Napoleone a Lucca per vedere gli Eagles cacciando 70 euro per un posto in piedi, quando i concerti dei nuovi fenomeni, magari pure proposti gratuitamente, vedono poche decine di presenti, pure magari distratti.
Statevane li, con la vostra nuova musica di cui non ci importa nulla. Lo stesso abbiamo fatto noi 20/30/40 anni fa, quando i nostri genitori ci guardavano schifati ascoltare i Nirvana dicendo quello che diciamo oggi a voi, “sta gente tra vent’anni non se la ricorderà più nessuno”. Noi le scommesse che dovevamo vincere le abbiamo vinte. Oggi i Nirvana sono musica classica. Se tra vent’anni ci sarà una nuova classe di musicisiti diventati classici che adesso noi snobbiamo ci direte “visto avevamo ragione”.
Per ora però bisogna prendere atto di una cosa. Nella Città Giocattolo e nella sua festa principe manca uno spazio per noi. Il Caffè dei Quarantenni? Che nome del cazzo. Rock in ’70? Inglesismi. Trovate un nome e lanciate uno spazio nuovo, se volete riprendere questo pubblico che obiettivamente non c’era quest’anno e che, visti alcuni commenti alla discussione di cui sopra, non ha intenzione di tornare se non verrà accolto. Altrimenti continueremo ad andare in culo al mondo a sentire gli originali della musica che ci piace o a Casirate a sentire le tribute band.
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