Alla Locanda del Cauto Cavallo prima o poi entrano tutti. Quei pochi che restano diventano parte dell’arredo mentre gli altri, gli occasionali, perpetuano la leggenda, perché lì dentro c’è sempre qualcosa lascia il segno. È un posto dove si assimilano strane idee: per esempio, dopo un po’, si accetta anche l’idea di essere scemi, che non è cosa di poco conto.

La storia di Penelope la tessitrice e Peppo il piastrellista è un classico. Lui c’era andato per cuccare, un sabato sera, con la schiena che ancora gli faceva un male della madonna. Lei stava lì da sempre a preparare completini in rosa e azzurro per quelle sciagurate che prima lo facevano e poi dicevano “ostia non sono stata attenta”.

Tagliarglielo?!” diceva Penelope.

Seee, e poi?!” ribattevano le committenti.

Il Peppo era un tipo pratico e se si fosse ficcato in un altro posto avrebbe avuto immediatamente la situazione sotto controllo: “Tette fianchi e chiappe come si deve, capelli neri e faccia da porca, sì!

Però non sapeva degli incantesimi della Locanda del cauto cavallo.

Santiddio che belle mani!” e le sue se le mise in tasca: “Bèllo quel vestitino lì. Si vede che c’è fantasia nelle mani!

Grazie.”

Ma quelle bélle cose lei le saprebbe fare anche con le pietre, con le mattonelle, magari anche con il legno?

Sì, certo.

Per lei spaccherò le montagne di tutto il mondo!

“Esagerato. Nel frattempo mi dia una mano con il gomitolo. Quella della Pischerlina dovrebbe nascere fra pochi giorni.

Ma come fa a sapere che è una femmina?

Alla ‘Locanda del Cauto Cavallo’ si sa sempre tutto, prima ancora che le cose avvengano.”

Beppe Cerutti

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